Iperfilosofia

Ivan Kudrjasev, Luminescenza (1926)

Ivan Kudrjasev, Luminescenza (1926)

“Leopardi si addolora e piange sulle cose perdute e sulle esistenze sparite”: e questi sono i fatti da cui si parte.
Di fronte ad essi c’è la filosofia di Emanuele Severino che è una risposta a questo perdere e sparire immensi e continui, e ha cercato di superarli, e a modo suo lo ha fatto, dicendo che le cose ed esistenze sono eterne, immutabili, immobili. Cioè ogni cosa e ogni esistenza è l’Essere.
Ma ciò che dice, soprattutto la sua conclusione, si rivela subito a chi sa, ma anche a chi usa il buonsenso e la ragione, iperbolico e assurdo. Che sia di tal natura lo dice anche, e in modo chiaro e distinto, Alfonso Berardinelli nell’articolo Contro Severino, l’iperfilosofo, pubblicato lo scorso 12 ottobre su «Il Foglio». Il quale però critica la filosofia di Severino ma nulla espone di suo “sulle cose perdute e le esistenze smarrite”, per cui Berardinelli non si può annoverare certamente fra i filosofi, almeno in questo caso. Qui è un giornalista, un critico, uno scrittore. D’altronde è questa la sua parte e l’ha svolta bene.
Anche noi abbiamo criticato aspramente Severino, ma l’abbiamo fatto opponendo al sua pensiero il nostro pensiero, alla sua soluzione la nostra, che non è iperbolica e assurda. È l’Eterno ritorno dello stesso, un pensiero e una prassi antichi quanto l’uomo, che si son fatti avanti imponendosi e dominando la filosofia dei nostri giorni, quella che più conta: di Nietzsche, di Heidegger, di qualche altro (vedi Severino e Parmenide, Severino e la favola, Emanuele Severino: ha immortalato la morte di una civiltà, ha dato un volto al nulla eccetera).
In quanto a Leopardi, che è un po’ il pomo della discordia, egli è il grande poeta che tutti conosciamo, ma non altrettanto grande filosofo (si veda quanto abbiamo scritto a proposito del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e L’infinito). Non c’è in lui la soluzione alla perdita delle cose e allo sparire delle esistenze, ma solo dolore e pianto. E la natura, egli dice, inganna, è un potere che impera a comun danno, è infinità vanità. E l’ha dimostrato con la poesia. Ma questa è la natura che bada alla specie e non ai singoli che, finite le loro funzioni di riproduzione, vengono abbandonati alla dissoluzione e alla morte.
Dopo l’Eterno ritorno dello stesso questi aspetti della natura nella loro assolutezza e inacessibilità non ci sono più e si tratta solo di andare a verificare.

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