Vattimo e Severino: la vacuità del nulla e quella del tutto eterno

­Vattimo e Severino assieme, perché le loro filosofie sono diventate l’espressione dei poli opposti del nichilismo diventato condizione normale: la vacuità del nulla e quella del tutto eterno. 

Giovanni Bettolo, Il deserto dei tartari

La situazione
Mettendo assieme Vattimo e Severino, forse si può vedere il fondo del nichilismo toccato dalla filosofia ai nostri giorni.
Vattimo e la sua scuola hanno ridotto l’uomo e le strutture dove si svolgono la sua vita e il suo pensiero ai minimi termini. I risultati di tale riduzione suonano così.
− La filosofia è arrivata alla fine della sua avventura metafisica ed è diventata pensiero debole ed ermeneutica.
− Pensiero debole è la filosofia dell’oltreuomo che si è liberato dall’asservimento alle etiche tradizionali del perfezionamento e dell’obbedienza, e non è più gravato dal peso di questi ideali.
− Ermeneutica è invece il modo di conoscere che si addice al pensiero debole, un processo circolare che funziona in questo modo: l’interprete si avvicina ad un testo sempre con “pre-giudizi” e “pre-comprensioni”, da cui nasce un primo progetto interpretativo. Ma esso deve essere posto continuamente alla prova, modificando via via i “pre−giudizi” che non trovano conferma, fino a che il “testo non parla”. Si tratta di un compito certamente realizzabile ­− dice Gadamer, il maggior teorico di questo metodo ­−, però senza fine, perché ciò che vogliamo vedere nel momento del discorso è un infinito del passato e del futuro.
Mi pare che non sia difficile scorgere in questo continuo roteare della cultura che mai non si ferma, messo a punto da Gadamer, uno degli aspetti − l’ultimo −, dell’eterno ritorno; ma simile a quelli della natura, da cui non si sfugge, dopo i falliti tentativi di Nietzsche di uscire da questa cieca necessità.

Le conseguenze
Riducendo la conoscenza ad interpretazione, il rapporto della parola con l’Essere scompare. Pensare ed Essere non è più “lo stesso”. Decade quel che ha affermato Parmenide all’inizio della civiltà greca che poi è diventata Occidente: “[…] Infatti lo stesso è pensare ed essere” (Parmenide, Poema sulla natura, a cura di G. Reale e L. Ruggiu, Rusconi, Milano, 1991, fr.3, pag 11), e la storia della metafisica si dissolve.
Da questa situazione spunta la nuova idea dell’Essere. È poroso – dicono i filosofi del pensiero debole −, è contraddittorio, policentrico, fondamentalmente privo d’unicità, abbandonato al suo corso, al suo destino e alla sua destinazione. Il contrario, perciò, dell’Essere parmenideo.
Naturalmente, nel passaggio dalla precedente visione del mondo a questa c’è tutto un finire.
− Finisce il pensiero forte e gli succede il pensiero debole.
− Finisce la modernità, vale a dire il periodo che va da Cartesio a Nietzsche, e si entra nel postmoderno.
− Il postmoderno viene salutato come fine della Storia.
− Muta l’idea di Storia: non è più un percorso dotato di un indirizzo che porta ad una meta e ad un risultato, ma non ha senso, e in tal modo muta in apertura e comunicazione alle “culture altre”.

In conseguenza del distacco del pensiero dall’Essere, anche la ragione non è più quella di prima.
− Non è più centrale, ma è come depotenziata.
− È entrata nella zona d’ombra e ha preso contorni incerti, come se si fosse eclissata.

Conseguenze pratiche di questo mutamento epocale:
− L’uomo non riconosce alcun immutabile ed eterno; perciò − unico suo punto fermo (apodittico) in tanta desolazione −, alla fine non si ritrae, non oppone resistenza, ma si consegna rassegnato e vinto alla propria morte senza far motto (Qualcosa perciò è rimasto d’immutabile, immobile, eterno: è rimasta la morte. L’unica che i filosofi del pensiero debole e dell’ermeneutica non sono riusciti a cancellare). Io dico però che i più neppure ci pensano: l’hanno rimossa e quando essa arriva per gli amici e i famigliari, fanno il funerale in fretta, velocemente si tolgono di dosso abiti neri e funebri pensieri.
Da tutto ciò si può arguire che come si esce così si viene al mondo, vale a dire a nostra insaputa e senza sapere da dove. A fare cosa? Ad apparire un po’, per adempiere ai comandi della specie, per i più fortunati o i più in vista a sbarcare il lunario con la filosofia del pensiero debole ed ermeneutica, e poi sparire. Per sempre, dopo l’eliminazione d’ogni immutabile ed eterno. A meno che non si faccia d’ogni uomo un immortale così com’è, carne e ossa compresi, compito che, come si vedrà, è toccato a Severino.

Le cause di questa situazione viste dal pensiero debole
Una riduzione ai minimi termini, perciò, l’uomo e il suo mondo dopo la fine della modernità. Va però subito detto che la situazione qui descritta non è fasulla, ma quella che si vede e si tocca. In altre parole pensiero debole e ragione depotenziata rispecchiano fedelmente l’uomo che abbiamo spesso sotto gli occhi ai nostri giorni e che occupa tanta parte della scena pubblica.
Il letterato sulla cresta dell’onda, assiduo frequentatore dei salotti della TV dove le chiacchiere non si contano.
L’inquilino della casa del Grande fratello, e c’è chi partecipa, chi lo desidererebbe tanto, e innumerevoli che guardano curiosi ed eccitati, come dal buco della serratura.
Le star dell’Isola dei famosi.
Il politico che muta in pornopolitico e cocainomane.
Le indossatrici anoressiche delle sfilate di moda.
Il cuoco che ormai è di casa in tutti i programmi di successo.
I filosofi delle tavole rotonde allestite in ogni dove.
I giocatori accaniti dei giochi a premio televisivi, che perseguono tutto il malloppo messo in palio. 
Anche se l’uomo è debole di mente, ci sono i palestrati e i Rambo che mostrano i muscoli e credono così di pareggiare il conto.
E se in tanta riappropiazione di sé qualcosa non va, se qualche difetto è rimasto anche nel postmoderno, si provvede con la chirurgia estetica.
Queste le “conquiste” e ora le cause che hanno aperto le porte ad esse. 

Per Vattimo e i suoi discepoli e colleghi che la pensano come lui, tutto ciò avrebbe un’origine: sarebbe l’eredità che Nietzsche e Heidegger ci hanno lasciato. La quale, dicono loro, è positiva: non debiti, insomma, ma crediti e vantaggi.
I vantaggi consisterebbero in ciò: non essendoci più le imposizioni espresse dalle “grandi fedi dogmatiche, dai grandi orizzonti metafisici”, “possiamo compiere delle scelte, prendere delle decisioni”. Quelle appena elencate e illustrate, per esempio, se quei tipi d’uomo ormai pullulano e sono diventati modelli per molti.

Le cause effettive
Invece sono ben altre le cause del pensiero debole, dell’ermeneutica e della condizione umana soprascritta che è l’aspetto in carne e ossa di quelle idee. Esse sono il Tramonto dell’Essere e la Notte che è discesa sulla terra dell’Occidente specialmente dopo l’età moderna; perché il pensiero filosofico che ci ha condotto lungo il Giorno, fino al Tramonto, non è più riuscito a illuminare le Ombre che si stavano addensando sempre più.
Si è continuato lo stesso, tuttavia, fino alla “linea di Mezzanotte”, ma essa ha costituito il fine corsa che è rimasto in vigore fino ai nostri giorni e solo da poco si è potuto andare oltre.
I primi segnali del declino e caduta sono stati colti ed espressi dai poeti e filosofi e poi, via via, da tutti gli altri, fino ai nostri giorni dove si discorre apertamente e continuamente di nichilismo, diventato nel frattempo condizione normale
Ecco cosa è cominciato ad accadere circa duecento anni fa, dapprima nel campo della poesia e della filosofia, e che poi è entrato nella vita pubblica e privata, lasciandoci sempre più smarriti, indeboliti, completamente succubi della morte.
È cominciato il Tramonto dell’Essere.
Hölderlin ha visto fuggire gli dèi nella “notte santa”.
Dopo il Tramonto, il primo ad affrontare le Tenebre è stato Schopenhauer.
Poi è cominciato il cammino nel Buio. 
Si chiamano esistenzialismo, nichilismo, eterno ritorno, psicanalisi, alcune di queste correnti migratorie.  
Heidegger, già avanti sulla via della Notte, ha intuito ed espresso il rapporto esistente fra l’Essere e quanto stava accadendo. Dipende dall’Essere − dalla sua posizione rispetto all’uomo, al suo cammino, al suo corso storico −, ciò che siamo nella mente, egli ha detto. E ha chiamato “epoché” le varie posizioni. Epoché l’Aurora e il Giorno radioso di venticinque secoli fa, quando è cominciata la civiltà greca; epoché il Tramonto e il suo nascondimento avvenuto ai nostri giorni.
Poi, dopo la fermata nella Notte e la perdita d’ogni limite e appoggio, il dilagare su piani interminati.

Cause presunte e cause vere a confronto
Perciò è tutto vero quel che risulta dal pensiero debole e dall’ermeneutica, ma tutto ha un’origine diversa o un nuovo senso.
− È vero che finisce il pensiero forte, ma perché si è fatto invisibile a poco a poco l’immutabile ed eterno.
− È vero che finisce la modernità, ma sempre per lo stesso motivo: perché è finito il Giorno e l’Essere non c’è più sopra l’orizzonte ad alimentare ed accrescere il pensiero. C’è anzi appassimento e depauperamento.
− È vero che la Storia non mostra più il suo corso, da che parte è diretta e dove sfocia, ma perché dopo il percorso nella luce essa si è inabissata come un fiume carsico, o è diventata come corrente uscita dall’alveo che dilaga formando paludi e morte gore.
− È vero che finisce la Storia, ma perché si è trovata di fronte alla linea di Mezzanotte, apparentemente insormontabile; e perché, in modo ancora segreto e nascosto, si è raggiunto l’inizio di essa e si è chiuso il giro. Cominciata con Erodoto nel tempo dell’Aurora della civiltà greca, finisce in un’altra Aurora, o nella stessa che ritorna dopo il superamento della Notte riuscito finora a pochi. E ora si potrebbe ricominciare nella luce di un nuovo Giorno, se l’esigua avanguardia diventerà una fitta schiera.
− È vero che la ragione non è più quella di prima, è depotenziata affermano Vattimo e i suoi seguaci, ma perché non è più collegata alla sua fonte o non c’è più contatto a vista dopo la sparizione dell’Essere. Così staccata e isolata è solo ricordo di quel che era, e si fa uso di essa in tal modo, come retaggio del passato, come eredità da spendere per la sopravvivenza, finché dura. C’è inoltre da aggiungere che da sola non era più in grado di far fronte alla grande sfida del cammino nella Notte e dell’attraversamento dell’Abisso.
− È vero, infine, che il pensiero debole ed ermeneutica, e ciò che hanno provocato sulla natura umana, sono un’eredità di Nietzsche e Heidegger, ma del loro fallimento, di cui erano consapevoli perché non sono riusciti a portare a termine l’impresa di giungere alla fine del giro eterno. “Solo un Dio ci può salvare”, ha detto Heidegger prima della morte, e Nietzsche è impazzito. Perché non è riuscito a “volere” l’eterno ritorno fino alla conclusione del giro, cioè ritornare come singolo “sapendo di ritornare” e non perché portato dall’eterno girotondo della natura e della vita, simile alla dantesca “bufera infernale che mai non resta”. Non voleva l’eterno ritorno, insomma, se fin là era portato succube e inerte; voleva lui ritornare in tal modo ma a sua scelta, secondo la sua volontà, e poteva riuscirci soltanto conoscendo tutta la strada. Solo in una “visione” simile a quelle oniriche gli è apparsa questa possibilità, ma non è stata sufficiente a soccorrerlo e salvarlo. E Heidegger non è riuscito a seguire l’Essere fino alla nuova Aurora. Perciò essi hanno sì divelto le pietre miliari dai confini della modernità e di tutta la precedente storia dell’Occidente, ma per passare e andare oltre l’uomo. Invece non sono arrivati fino in fondo, la linea di Mezzanotte li ha bloccati (Questo è un accenno al fondamentale problema della filosofia contemporanea, su cui perciò ritorneremo. Però aspetti di esso già ci sono anche nei precedenti post; e tuttavia appare ora la necessità di svilupparlo di più di porlo di più in primo piano. Ciò che faremo in un prossimo futuro).

Ma ormai il terreno era spianato, l’annuncio era squillato, la via indicata, e chi è giunto dopo o stava dietro ha seguito i primi. L’intero Occidente stava dietro, più o meno consapevole, e volto in ogni caso in quella direzione, ma non ha più trovato argini né guide. I vecchi confini stabiliti da Dio, dall’anima immortale, dalla ragione, dalle leggi della natura, dalla Storia ideale eterna, dalla conoscenza filosofica, si erano dissolti o giacevano come ruderi. Solo il deserto dei tartari aldilà, e questa è l’attuale condizione dell’uomo occidentale. 
Non positiva, perciò. Non è un passo avanti sulla via della conoscenza, una nuova forma d’emancipazione, ma la conseguenza d’avvenimenti e mutazioni epocali e della sconfitta subita, di cui si stanno portando le conseguenze nella mente.
− In conclusione, una filosofia quella di Vattimo che corrisponde alla posizione attuale dell’Essere, alla sua Epoché, e all’attuale situazione dell’Occidente perduto nel Buio. Come il sole dopo il tramonto o come un fiore che si chiude nella notte, l’Essere non appare e così la parola è staccata dalla sua fonte. Non si vede più e per Vattimo non c’è più, e il suo discorso si svolge nella Notte. Il quale, come lui stesso ha affermato, è diventato “chiacchiera”, e per distinguerla da quelle delle comari l’ha definita “dotta”. Ma essa non muta la sua natura se gli si mette un aggettivo di sostegno accanto: non nasce un’aquila da un topo.

L’apporto di Severino al nichilismo diventato condizione normale
Qui giunti però non è finita, perché c’è anche Emanuele Severino in questo gioco.
Ma cosa c’entra lui con il pensiero debole dal momento che è l’unico paladino − si dice − del pensiero forte in questi tempi avvolti dal nulla? Perché anche lui non si trova in altre terre e in altri cieli, ma solo sul polo opposto dello stesso sistema. Su quello positivo, Vattimo sull’altro.
Perché Severino ha ingessato l’uomo così ridotto, ecco la risposta.
Perché, alla fine dichiara immutabile, immobile, eterno, l’uomo del nichilismo. L’ha reso così attribuendo ad ogni presente sulla scena del mondo − e se non c’è, è dietro alle quinte ma riapparirà −, i caratteri dell’Essere, vale a dire eternità, immobilità, immutabilità; e l’Essere della filosofia − ma anche il Dio del mito, della religione, dei misteri, della sapienza − è stato solo illusione e inganno; solo chimera, araba fenice, fata morgana. Anche l’Essere di Parmenide, anche il Logos d’Eraclito. 
Qual è, allora, la vera parte di Severino nel nichilismo diventato condizione normale?
È il sigillo che egli imprime sull’uomo dove sta scritto: “sei uguale a Dio”, “sei più di Dio”.
A questo punto tutto torna: ora c’è anche il sigillo del suo contrario su quel nulla, la faccia beffarda del “tutto eterno”.
Il vuoto dell’uomo postmoderno, Severino l’ha immortalato: ecco la vacuità del tutto eterno.

È tutta la potenza del nulla che si dispiega nella sua filosofia.
Si scruta il nulla quando si scorrono le innumerevoli pagine scritte dal filosofo di Brescia.
È una finestra sul nulla la sua immensa opera.
Forse ci rimarrà male Severino a vedersi così girato e capovolto, però il suo valore, io credo, rimarrà invariato. La sua capacità di parlare del nulla all’infinito non è impresa da poco, ma quella di un titano del pensiero. Ed è comprensibile perché, nonostante sia l’apologeta di quel niente, sia affascinante il suo inesauribile racconto.

Il fare di necessità virtù: la gestione del nichilismo
Dapprima il nichilismo lo si è subito: vedi il periodo delle guerre mondiali, dei campi di sterminio, della strategia del terrore atomico e nucleare in cui per la prima volta nella storia umana la sopravvivenza dell’umanità è stata posta in gioco dai suoi stessi rappresentanti.
Poi si è tentato di superarlo, vale a dire di passare oltre la linea di Mezzanotte, l’impresa su cui si son messi i grandi del secolo scorso, e io ne ho nominati due: Nietzsche e Heidegger. Ma quel tentativo non è riuscito, o solo in parte: arrivo sulla linea di Mezzanotte e progetti e speranza per andare oltre.
Altro non rimaneva allora che tentare di gestirlo.
Una gestione del nichilismo, la filosofia di Vattimo, mimetizzandoci, scomparendo il più possibile alla vista, assemblando razze, culture, religioni, diventando piccoli, inutili, insignificanti, come per sfuggire ai comandi che non ci vogliono così e che hanno fatto grandi molti uomini del passato.
Quelli che ha sentito Socrate, che agiva seguendo le parole del Demone e le ha ascoltate anche quando l’obbedienza gli è costata la vita. Il seguire virtù e conoscenza che ha spinto Ulisse oltre le Colonne d’Ercole. Poi gli innumerevoli uomini cui non è stato affermato che sono divini o deboli e combattono per superare i loro limiti, per aumentare la loro libertà, per strappare alle tenebre la conoscenza di se stessi.
Una gestione del nichilismo, la filosofia di Severino, con l’uomo in carne e ossa ingigantito come nel gioco delle ombre. Anzi nella veste di Giove tonante e ancora di più, perché l’ha chiamato “Superdio”.
Ma davvero dovremo rimanere così per sempre?
Sì, dice Severino. Costretti a essere dèi in quel modo, ognuno un dio.
Nella debolezza, dice Vattimo, anzi ancora più giù di quanto siamo oggi. Perché quella del “pensiero debole” è la migliore situazione possibile, la meno impegnativa, quella che lascia aperte tutte le porte e tutte le combinazioni
Ora io invece mi chiedo: quanto potrà durare una gestione così fondata?
Quanto ci vorrà ancora per passare dalla palude alla morta gora?
Per quanto potranno suonare ancora le sirene del nichilismo, prima che il nulla nella cultura si estenda anche alla natura, all’uomo in carne e ossa, corrompendolo completamente?
Perché non si supera il nichilismo riducendo l’uomo ai minimi termini: soluzione Vattimo.
Né allettandolo con il titolo di Superdio: soluzione Severino.
Ma solo se si attraversa l’Abisso e si passa in altre terre e altri cieli lo si lascia alle spalle (Sull’argomento, vedi anche Le altre facce del nichilismo).

P.S.
Se la “linea di Mezzanotte” fosse rimasta insuperabile e perciò l’accesso al Giorno dell’Essere impossibile, andrebbero bene l’illusione d’essere divini, il pensiero debole e l’ermeneutica, anche se quest’ultima è il supplizio di Sisifo in veste postmoderna. Si farebbe di necessità virtù, o sarebbero una pietosa bugia per addolcire un po’ la segreta sconfitta. Qualcosa come la favola La volpe e l’uva acerba, insomma. Perché, dunque, sono i risultati di un fallimento il pensiero debole, l’ermeneutica e il superdio. 
Invece è accaduto qualcosa di nuovo rispetto a questa posizione cui ormai si stanno adattando i più: il blocco sulla linea di Mezzanotte, in direzione del nuovo Giorno, non è stato completo. Qualcuno è riuscito a passare e ha cominciato a raccontare cosa c’è dopo. Dopo si arriva dall’altra parte dell’Abisso, dopo c’è la coincidenza degli opposti, la Fine della Storia che s’incontra con il suo Inizio. Dopo c’è la possibilità per l’Occidente di risorgere dalle ceneri della morale, della conoscenza, della dignità, del valore e della nobiltà in cui è caduto. 
E ora? Ora queste cose le diciamo e per fortuna abbiamo trovato il modo di renderle pubbliche, via Internet, perché altrimenti non sarebbero arrivate sulla scena pubblica.
Oggi, invece, con questo nuovo mezzo di comunicazione e di diffusione, le nuove idee sono andate in rete, e nonostante il recente inizio e i quasi ignoti autori, ci sono già migliaia di visitatori. Se continueranno a sostenerci, se si moltiplicheranno, La via d’uscita dal nichilismo non rimarrà più quasi deserta e fuori mano. L’Occidente raggiungerà l’Oriente e diventeranno una cosa sola per molti, e non soltanto per la sparuta avanguardia che ha già visto.
Allora, nella Luce che non tramonta mai, una nuova civiltà nascerà sulla terra e comincerà da quel punto il suo cammino.
Com’è già avvenuto nella Grecia antica venticinque secoli fa.

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4 Risposte to “Vattimo e Severino: la vacuità del nulla e quella del tutto eterno”

  1. Vattimo e Severino: la vacuità del nulla e quella del tutto eterno … Says:

    […] Fonte Articolo: Vattimo e Severino: la vacuità del nulla e quella del tutto eterno … […]

  2. Lipesquisquit Says:

    Ciao, il tuo post è interessante. Sto facendo una tesi di laurea su Vattimo e il nichilismo, mi chiedevo se potessi aiutarmi a reperire del materiale circa le critiche più importanti che gli sono state mosse, anche negli ultimi anni.
    Io per ora sto considerando Viano, Perniola e Severino.
    Se puoi aiutarmi te ne sarei molto grato.
    In ogni caso, ti linko sul mio blog.

  3. wilmo e franco boraso Says:

    Per scrivere del nichilismo in modo diverso dalla “chiacchiera dotta”, bisogna conoscerlo, averlo visto in faccia. Un post che lo ritrae in tal modo è nel nostro BLOG, ed è intitolato “Il vero volto del nichilismo”. Ce n’è anche un altro molto seguito:”Le altre facce del nichilismo”, ma tutto il blog tratta dell’argomento e della “via d’uscita”. Questo è il maggior aiuto che possiamo darti per la tua tesi di laurea. In quanto al materiale circa le critiche più importanti mosse a Vattimo e al suo nichilismo, se qualcosa ci capiterà sotto mano ti scriveremo. Un saluto e buon lavoro.

  4. Rodrigo M. Says:

    Prima si è subito il nichilismo e poi si è cercato di superarlo, come fecero Nietzsche e Heidegger? Mi sembra ci sia una certa approssimazione temporale: Nietszche visse nella seconda metà dell’Ottocento, quindi prima delle due guerre mondiali. Heidegger scrisse la sua opera maggiore, “Essere e tempo”, nella seconda metà degli anni Dieci (quindi durante la prima guerra) e la licenziò nel 1927, ben prima della seconda e dell’atomica.
    Non si può poi liquidare un autore profondo come Severino con qualche battuta…

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