Archive for the ‘Il nuovo patto d’amore’ Category

Il nuovo patto d’amore. Fine

1 gennaio 2011

Il nuovo patto d’amore, fondato sulla coincidenza degli opposti (5/5)

Leggi i capitoli 1-7
Leggi i capitoli 8-13
Leggi i capitoli 14-23
Leggi i capitoli 24-30

Anna Costenoble, Tristan und Isolde (1900)

31.

Si valica l’abisso della morte
attraversando il Ponte
sospeso fra due rive,
e si ritorna nella luce della vita
e nella conoscenza dell’intero.

Giunto sul ciglio dell’Abisso tenebroso che all’improvviso s’è aperto dopo il Tramonto, e dove la stragrande maggioranza s’è accampata come in un’attesa, “non ho provato a scendere per poi risalire, come a volte si fa con i burroni esistenti sulla terra, perché già in quel tempo − oggi ancora di più −, esso appariva senza fondo, ma ho cercato di beffarlo con un ponte sospeso. Le due rive dove potevo ancorare l’esile struttura le ho già nominate: Tramonto e Aurora. La seconda individuata e determinata soprattutto da Parmenide; la prima, come ho già detto, da poeti, scrittori e filosofi dei secoli diciannovesimo e ventesimo, anche se non era certamente prevedibile in quei tempi che sarebbero servite come sponde per la costruzione di un passaggio di tal genere. Perciò ho fatto tutto da solo nell’ultima parte. Non molto di più di una corda molle che io ho lasciato andare alle mie spalle come una traccia, e che è diventata alla fine un semicerchio su cui pochi oseranno avventurarsi. Ma ci penseranno poi i tecnici a costruire il ponte. Io credo che si troverà il modo di tirarlo e rafforzarlo il mio esile arco e già vedo con l’immaginazione le torri che sorgeranno al posto dei rudimentali ancoraggi che ho costruito io, più alte di quelle del ponte di Brooklyn, più vicine al cielo di quelle che sono state progettate per l’attraversamento dello stretto di Messina; e il solido nastro che si stenderà dall’una all’altra sponda sarà il più lungo, degno di tanto vuoto. Credo che quel collegamento diventerà un rettilineo fra il Tramonto e l’Aurora, in altre parole il diametro del cerchio sul confine Notte-Giorno che appare nel simbolo. Credo che esso sarà alla fine una strada sospesa indistruttibile che attraversa la Notte, come l’asse terrestre, come la Via lattea. Aperta e illuminata strada di frontiera che collega le sponde vita-morte.
Giunto con quel semicerchio fluttuante nel Buio al tutto in una volta del cerchio, e perfino alla futura strada che attraverserà l’Abisso, c’è ora da vedere come ho potuto percorrere la parte gravitante nel Vuoto, che solo alla fine ha cominciato a diventare esile struttura gettata fra le due rive. C’è da dire, per prima cosa, che già esisteva l’altro semicerchio, quello in alto, progettato e percorso dall’Occidente in più di venticinque secoli, di cui ho già fatto cenno, che come un arcobaleno collega i due poli estremi del Giorno, che è poi la luce della ragione, e che nel visibile e tangibile è strade, gallerie, viadotti, rotte che circondano la Terra. Perché la Terra è stata il campo d’esercitazione nell’attesa di quel cimento: la realizzazione dell’arcata più grande. I suoi ponti sono modelli di quello vita-morte-vita. E c’è l’immenso ponte Aurora-Tramonto, immane cammino di una civiltà sospesa fra l’Abisso e l’Altezza, di cui i tanti racconti e le tante storie sono le carte topografiche e geografiche. Ebbene, è su quel mezzo giro già esistente che sono rimasto appeso come un ragno per attraversare il vuoto che sta sotto. O soprattutto ad esso, perché mi hanno molto aiutato anche il giorno del ciclo giorno-notte, l’estate di quello estate-inverno, la veglia dell’infaticabile successione veglia-sonno, la donna della segreta unità uomo-donna, l’amore del giro amore-morte. Tutte cose già dette, ma che qui amo ricordare perché sono gli appigli senza i quali non avrei mai potuto attraversare l’Abisso cui i più hanno assegnato il nome morte.
Ma ora bando alle trascorse esperienze, entro nel cuore del problema.
Come ho potuto procedere nella Notte senza lumi in Terra e stelle in Cielo, con l’Abisso spalancato ad ogni passo, anzi come ho potuto muovere un solo passo?
Perché, come ho già detto, mi tenevo appeso all’arcata diurna e avanzavo verso levante dopo la svolta del Tramonto, e in tal modo procedevo nella Notte, passo dopo passo, e segnavo il percorso con la corda molle che lasciavo andare alle mie spalle. Non mi risulta che prima di me qualcuno abbia camminato contemporaneamente nel passato e nel futuro come ho fatto io, diretto ad un’unica meta, l’Alba, quella vista da Parmenide e quella che avrei riscoperto di lì a poco se riuscivo ad arrivare sano e salvo. In tempi diversi sì, o distinti, come ho già spiegato, o non con la stessa consapevolezza; io, invece, per l’una e per l’altra arcata nello stesso momento, e sapendo in cuor mio che non era possibile separarle neppure nel pensiero, che non era possibile muovere un passo per una delle due che non fosse anche un uguale avanzamento nell’altra. In questo movimento da funambolo, quando sono arrivato a Mezzogiorno in alto, sotto era Mezzanotte, quando sono giunto all’Alba di venticinque secoli fa c’era la fine della Notte sullo stesso punto, e sono diventati indistinguibili i due momenti.
Tuttavia non sarebbe bastato il lavoro di corde e il mestiere di funambolo se non avessi ricevuto l’aiuto di una luce che non era quella del sole e neppure quella della ragione dopo che l’Essere è tramontato. Sotto forma di segnali che bucavano come scintille e lampi la Tenebra mi è giunto quell’aiuto, che io traducevo in parole, e le parole sono diventate indicazioni, e il loro insieme la collana che mi ha condotto passo dopo passo dalla Mezzanotte fino all’Alba. Anzi, per quanto mi riguarda, con inizio dal Tramonto, perché, come ho già detto, io allora ignoravo i risultati ottenuti dai miei illustri predecessori. Certo, quei segnali sono stati un incontro continuo, a viso aperto, con il mistero, quindi a dirlo con la voce della ragione, anche con l’irrazionale. Ma ho forse mai dichiarato, o anche solo lasciato intendere, che quanto stavo facendo era del tutto razionale! È razionale abbandonare in tanta parte le vie ampie e facili, i vantaggi che offre il denaro, le luci della ribalta, i piaceri della carne, perfino le dolcezze e gli abbandoni dell’amore, per immergersi nella Notte? Inoltre io ho sempre affermato che nel ciclo Giorno-Notte, specialmente quando si giunge nella metà oscura, la ragione è soltanto un piccolo e incerto lume che serve quanto la lanterna che il viandante teneva in mano di notte quando le strade erano buie. Non certo per vedere tanto lontano, dunque, e ancor meno la meta. E anche nei giri della natura dove siamo direttamente interessati, quelli che in qualche modo si vedono, si sentono, si toccano, perché ci troviamo sopra di essi quando si è vivi e svegli, è forse razionale il sonno, la morte, la provenienza della vita dalle profondità della terra e dei corpi? E si smette perciò di dormire, di morire, di provenire dal profondo e dal mistero? Allora, nessuna sorpresa per quanto anch’io non sapevo: non sapevo, e ancora non so, da dove giungevano i segnali. Oppure lo intuisco, anzi posso dire perfino di non aver dubbi, anche se non lo dice la ragione ma il cuore e perciò non posso dimostrarlo: vengono dall’Abisso. Ma non come arrivavano fin qui e perché. Una teoria però c’è e la dico. Come ho più volte posto in evidenza e come risulta dal simbolo, anche il ciclo più grande non arriva fino in fondo all’Abisso, anche perché è senza fondo, e similmente non si eleva fino alla sommità del Cielo che nessun occhio umano ha mai visto. In altre parole il Giorno-Notte, anche se è, o diventerà, il ciclo più grande dell’uomo, non scende fino al nulla e non s’innalza fino a Dio. Più semplicemente circola, come un pianeta attorno alla sua stella, come una galassia nel cosmo, come il cosmo in Dio o nel nulla, o, appunto, nell’Abisso. Per cui c’è ancora fondo oltre il più profondo mai raggiunto dall’Occidente. Ecco, è da quell’inconcepibile interiorità che i segnali mi sono giunti e che ho trasformato in parole. Input di un demone mi sono apparsi, com’è voce di Dio quella che giunge dal Cielo, che molti mistici hanno sentito e comunicato”.

32.

La segreta metà di me stesso
dopo che l’ho conosciuta
superando il confine
della Coincidenza degli Opposti,
ora la vedo là fuori in innumerevoli aspetti.
E cerco quello che più gli assomiglia,
e vorrei trovare quello che combacia.

Anziché dal primo, cominciamo dall’ultimo verso questa volta. Dei tanti volti che sono là fuori “vorrei trovare quello che combacia”, esso dice. In altre parole l’anima gemella. E non è vero, allora, ciò che abbiamo sempre detto: che si tratta d’avere idee chiare e distinte − quelle del Patto − di ciò che prima era solo intuito o visto come un lampo nella notte, e di quel che esso illuminava soltanto per un po’ finché scoccava e spandeva la sua luce! Perché l’anima gemella è ideale antico, anzi un archetipo, che continuamente arriva alla ribalta, e si è sempre creduto che ci sia.
La sua esistenza è legata all’androgeno primordiale di cui parlano i miti e le religioni, quello che abbiamo già nominato in queste pagine, precisamente nella frase quarta. Quello che è stato tagliato in due dalla divinità, che ha staccato esattamente la parte femminile da quella maschile. Un’operazione poi ripetuta per tutti gli individui di quella nuova specie spuntata improvvisamente dalla terra, e le metà le ha disperse ai quattro venti.
Teoricamente però le metà dovrebbero esserci tutte e sono le innumerevoli donne e uomini che abitano questo mondo; ma dove cercare in tanta dispersione la propria, come trovarla, come riconoscerla? Risultati della ricerca in ogni modo ci sono e sono le tante le unioni che continuamente avvengono. Ma che continuamente anche si disfano, anche dopo molti anni di convivenza, anche se sono state sancite dai patti esistenti. Segno indubbio che non c’erano certezze in quei ritrovamenti e collegamenti; che per ogni patto che si scioglie non era quella la metà ma soltanto le assomigliava. Segno evidente che si credeva di aver trovato ma non era vero, specialmente quando il cercatore si era fidato soltanto delle caratteristiche fisiche e dell’aspetto. Anche quando Cupido scoccava la sua freccia, non era per nulla sicuro che le due metà colpite fossero quelle originarie, ma solo le più somiglianti ad esse fra le tante sul mercato. Si da anche il caso che alcune frecce d’amore abbiano fatto centro, se sono esistiti ed esistono i grandi amori, se alcuni sono risultati e risultano indissolubili, se continua la promessa d’eterno amore, se quando uno se ne va l’altro vuole seguirlo e spesso attua il suo proposito. Parole già dette in queste pagine, ci sembra, ma che ci piace risentirle come si fa con la canzone del cuore.
Situazione difficile perciò per le anime gemelle fino ai nostri giorni, ma ora qualcosa sta cambiando e già si mostra.
Per sapere cosa, dopo aver citato l’ultimo verso della frase in oggetto ed essere arrivati fino a questo punto con il commento, bisogna ora salire al primo e seguenti, a “la segreta metà di me stesso dopo che l’ho conosciuta/ superando il confine della coincidenza degli opposti/ ora la vedo là fuori in innumerevoli aspetti”. Ecco che cosa è cambiato: ora non c’è più un’ignota presenza benché somigliante alla misteriosa metà perduta, non c’è soltanto la freccia di Cupido scagliata dal suo arco, che alcuni dicono fosse anche un buontempone e che mirasse a volte a caso per divertirsi. Ora c’è una presenza fisica, un aspetto determinato, e soprattutto la cicatrice della ferita di chi sa che la metà di sé gli è stata tolta, ed essa è prova sicura in caso di ritrovamento. Perché se è proprio lei la ritrovata, i lembi coincideranno esattamente. Similmente accadeva nelle antiche favole con le due metà dell’anello, che veniva spezzato in due quando il distacco era decretato dal destino e ognuno portava con sé la metà, che un giorno sarebbe servita a riconoscere chi possedeva l’altra se essa coincideva, e a ricostituire così l’unità una volta perduta.
Anche in tal modo, tuttavia, è difficile trovare l’anima gemella nel mondo brulicante di metà, sperdute in tempi e spazi illimitati, ma la ricerca diventa indirizzata e c’è il fascino d’essere ognuno cercante e cercato, di trovare come per incanto, di scoprirci uguali ma opposti e assolutamente indispensabili, di unirci nell’amore, e questa è l’essenza della vita.

33.

La metà che s’è svegliata di me stesso
quando ho raggiunto la Coincidenza degli Opposti
è donna, ed ora io cerco la sua figura e la sua voce
fra le tante che passano per le vie
e gremiscono i luoghi di ritrovo.
È ormai tardi per trovare ed essere accettati
perché ho impiegato la maggior parte della mia vita
per raggiungere il punto di ritrovo sicuro e perenne
e nel viaggio ho investito tutti i tesori della gioventù.
Ma intanto qui mi oriento e cerco. Poi ritornerò.

 

Si potrebbe chiamarla la frase della nostalgia e del rimpianto questa qui. “Ho impiegato la maggior parte della mia vita/ per raggiungere il punto di ritrovo sicuro e perenne”, dicono i versi sette e otto, investendo nella ricerca “tutti i tesori della gioventù”, ed ormai è troppo tardi per viverlo l’amore nei modi della separazione in due metà, che perfino gli dei perseguivano. Zeus con le sue continue discese dall’Olimpo per inseguire e possedere donne e ninfe, e anche gli altri erano solerti in questo genere d’avventure. C’è sempre stato un collegamento del genere fra cielo e terra.
Ma torniamo al tema. La situazione prima del patto era quella di sempre, quella che c’è ai nostri giorni, perché il Patto è per ora soltanto una porta sull’immortalità dell’amore che ad eccezione di pochi casi storici non è stata ancora aperta e superata. Quella esistente è invece come gli innamorati la conoscono, come l’ha conosciuta l’autore del patto quando era soltanto una lontana promessa: lo stare assieme abbracciati ma sapendo che l’unione finirà, anche se c’è nel cuore l’anelito al non finito mai, la speranza che duri per sempre.
E la maggior parte, come si sa, si dedica al primo aspetto dell’amore, allo stare assieme, all’unità nel corso di una vita. E non perché è più importante dell’altro, vale a dire della sua eternità, ma perché l’altro appare impossibile da raggiungere, anche se poi, alla fine, se non si arriva all’eternità dell’amore diventa però dolce il morire assieme, la qual cosa è quasi una via di mezzo, lo sfumare dell’eterno nel nulla, e viceversa – e questi due sono i maggiori fra gli opposti e il mutare l’uno nell’altro è la coincidenza più grande.
Dunque, normalmente e pressoché generalmente gli innamorati vivono l’amore contingente, la vita a due d’ogni giorno, l’unione dei corpi. Ma al futuro autore del Patto è capitata un’altra sorte: lui si è dato invece all’altro aspetto. Lui ha cercato subito l’immortalità. E questo nel pieno dell’amore, trascurando perciò spesso la parte comune e abituale. D’altronde solo Giove riusciva a dedicarsi contemporaneamente alle cose celesti e a quelle terrestri, e la stessa cosa riuscirà dopo il Patto, a chi lo firma.
Ma prima, lo ripetiamo, le cose non erano così. O di qua o di là, e l’autore si è posto dalla parte più difficile. Non è stata però una scelta ragionata, assomigliava piuttosto ad un destino. Non è stata una decisione meditata ma una tendenza. Non ha detto: rinuncio ora per avere di più domani e sempre, perché non c’era certezza, e non si è neppure ritirato dal primo aspetto. Oppure la cosa certa era una sola, che un’idea che era sorta, anche se poteva non valere, non voleva più staccarsi. Questa l’idea: quell’amore che era sbocciato doveva rimanere, e non nella mente di Dio o nel labirinto della natura che tutto inghiotte e confonde, ma nel cuore e nella mente dov’era spuntato, dove sarebbe rimasto come un sigillo impresso a fuoco.
Si dovrebbe ora raccontare come quel sogno immenso è diventato vero, come quell’inizio ha raggiunto la sua fine, ma l’abbiamo già fatto, sono le pagine già scritte. Qui ripetiamo soltanto la conclusione: perché c’era già la fine in quell’inizio e dopo è stata soltanto confermata. Perché, come si sa dalla sapienza antica, “in una circonferenza la fine e il principio stanno assieme, sono la stessa cosa”, e la lunga ricerca è giunta dove segretamente sapeva di poter arrivare.
Ancora un appunto sull’ultimo verso e poi chiudiamo. Esso suona così: “Intanto qui m’oriento e cerco. Poi ritornerò”. È previsto cioè un ritorno, anzi è quanto il Patto stabilisce.

34.

Il mio progetto di via
che conduce alla Coincidenza degli Opposti
può diventare un nuovo cammino della natura,
simile a quelli che portano i fiori a rispuntare
e le stelle a riapparire.
Tutto qui il mio segreto contributo

al nuovo astro che si chiama “Io”
e che diventa “Sé” (se stesso) − dopo un giro
compiuto a occhi aperti e mente sveglia.

 

Nella trentaquattresima frase si prospetta che il ritorno all’unità, costituita dalla coincidenza uomo donna, diventi un cammino della natura che s’aggiunge a quelli antichi che vediamo e tocchiamo, “quelli che portano i fiori a rispuntare/ e le stelle a riapparire”. Simili perciò anche a quelli che portano alla ribalta nuove generazioni nel mondo animale e umano. Dove starebbe allora la differenza? Perché è “nuovo” il Patto, cosa s’aggiunge ”?
Chi arriva fino a questo punto ormai conosce la risposta: nuovo perché s’aggiunge la coscienza del ritorno. Nuovo perché chi ritorna sa che è già stato. Una coscienza che non sembra che i fiori e gli animali abbiano, anche se sono sempre gli stessi che si succedono sulla scena del mondo, come hanno inteso poeti e filosofi.
Nella sua Ode ad un usignolo John Keats ha scritto che l’uccello che ha udito in un giardino di Hamstead, all’età di ventitré anni, in una notte del mese d’aprile del 1919, è lo stesso che nei campi d’Israele, un’antica sera, udì Ruth la moabita. Non un altro usignolo, dunque, ma lo stesso dopo migliaia d’anni: l’eterno ritorno dell’usignolo, uguale all’eterno ritorno del giorno e delle stagioni.
Nel secondo volume del Il mondo come volontà e rappresentazione, al capitolo 41, Schopenhauer ha espresso l’identica intuizione: “Chiediamoci con sincerità se la rondine di quest’estate è un’altra da quella dell’estate passata e se realmente fra le due il miracolo di trarre qualcosa dal nulla si è verificato milioni di volte per essere smentito altrettanto dall’annientamento assoluto. Chi mi oda affermare che il gatto che sta giocando lì è lo stesso che saltava e scherzava in quel luogo trecento anni fa, penserà di me quel che vorrà, ma la pazzia più strana è immaginare che fondamentalmente sia un altro”.
Anche Leibniz ha seguito lo stesso cammino e l’ha così riassunto: “Gli animali, al contrario di quanto crede il popolo, propriamente non hanno inizio”. Naturalmente perché non hanno fine, e ha fatto il caso del baco da seta che diventa farfalla, o della metamorfosi dei bruchi, dove la morte dell’animale si trasforma senza alcun’interruzione nella vita di quello che succede.
Per Nietzsche è lo stesso uomo che ritorna eternamente come i fiori e gli animali, il piccolo uomo però, quello che nasce e muore come loro perché non sa da dove viene, chi è, dove va.
Non si possono perciò escludere dagli eterni ritorni degli stessi anche gli uomini, i quali però arrivano senza sapere da dove. Sono pochi, infatti, quelli che hanno detto e dicono di ricordare vite precedenti o episodi di esse. Perciò il nuovo che s’aggiunge è la coscienza chiara e distinta d’essere già stati, quella del nuovo patto d’amore. Ma per diventare “un cammino della natura” non può essere eccezionale, vale a dire accaduto poche volte nel corso dei secoli e millenni, ma normale e universale.
Un’alleanza di natura e cultura a questo punto è quel che appare in potenza e per tanti aspetti già in atto. Si è sviluppata una coscienza, un Io, che è diventato quando ha scoperto la sua metà nascosta, ed ora quella coscienza tutta tonda s’inserisce nel giro della specie, va ad occupare un posto nei ritorni già esistenti. Si dice fosse Dio che si occupava di trasferire l’anima nel corpo dopo il concepimento, ma ora sembra che dica all’uomo di arrangiarsi, di fare da sé. E forse è Lui stesso che gli ha insegnato il metodo. Perché, viva Dio!, c’è già chi “muove il sole e le altre stelle”, c’è già chi ritorna ed è lo stesso, c’è già l’uomo nella specie, solo che quella conoscenza non apparteneva ai singoli elementi dell’eterna ruota.
Si è trattato perciò da parte umana di inserire l’immutabile nel mutevole, la permanenza nel transitorio, l’apodittico nell’incerto. Non in generale però, a quello ci pensa sempre Dio e lungi da noi il voler prendere il suo posto, ma in ciò che noi stessi siamo e dopo che la morte ad un certo punto dell’evoluzione ha bussato alla nostra porta, l’abbiamo sentita, non abbiamo potuto fare a meno di aprire, e ci ha obbligato a difenderci.
Soltanto un affare privato, dunque, fra noi e lei, e il risultato è l’uomo nuovo, ancor più simile a Dio di quanto finora si è detto. Un dio minore, tuttavia, non super come lo vuole Emanuele Severino. Ma ora con la dote della continuità e dell’immutabilità.
Ci sono perciò altri due opposti che, a questo punto, giungono alla ribalta per coincidere: cultura e natura. Che l’uomo non potesse essere innaturale in quella parte della sua vita che dedicava alla cultura sembrava perfino ovvio: non sarebbe altrimenti sopravvissuto a una tale schizofrenia che dura da millenni. Però fra le due sembrava spesso esistere il distacco più profondo, a volte la più grande avversione, che si esprimeva in battaglie furiose. La guerra è iniziata con la civiltà occidentale, ma negli ultimi decenni s’è fatta senza esclusione di colpi e mette in pericolo mortale sia la natura − com’è oggi, con i suoi fiori, piante e animali, acque limpide, cieli tersi − che l’uomo, autore della cultura, e quindi la cultura stessa nella sua totalità. Perciò il Patto si pone, senza che avessimo preventivato questa sua estensione, anche come coincidenza di natura e cultura nell’uomo, e questo, ci sembra, ci avvicina a Dio.

35.

Svanisce la paura della morte se si arriva
alla Coincidenza degli Opposti
come il giorno che lentamente
e dolcemente si scioglie
nell’oscurità della notte che ritorna.

 

Si afferma che la vita si scioglie lentamente e dolcemente nella morte, e quasi non ci si accorge del passaggio, se è vicina la persona amata, − la parte a notte se è lui che se ne va. Nel secondo caso è lei che si scioglie nella vita dell’amato. Insomma i due innamorati trascorrono serenamente nell’unità vita morte lasciandosi dolcemente andare.
Lo dice la poesia del Carducci intitolata Jaufré Rudel: a Giaufredo diventa piacevole il morire dopo che ha potuto vedere Melisanda, che lo ha stretto al suo petto e “tre volte la (sua) bocca tremante/ co ’l bacio d’amore baciò”. Perché la vita “è l’ombra di un sogno fuggente./ La favola breve è finita,/ il vero immortale è l’amor”.
Perfino l’Inferno non è tanto brutto, anche se la condanna è la bufera che mai non si ferma, se vicina, anzi abbracciata, c’è la persona amata. Così per Paolo e Francesca e, miracolo dell’amore, è la bufera che interrompe la sua furia affinché Francesca possa raccontare a Dante la sua triste storia. Poi il vento furioso riprende ma i due rimangono uniti ed esso non ha la forza di scioglierli.
Non diversamente, le potenze infernali si sono placate con il canto d’amore di Orfeo, quando è là disceso a cercare Euridice, per riportarla in vita. Caronte, per ascoltarlo, abbandonò la sua barca e lo seguì. Cerbero alzò i suoi tre musi e smise di latrare. La ruota dove Issione instancabilmente girava, inseguendo e fuggendo se stesso, s’arrestò. Le figlie di Danao, che osarono macchinare la strage dei loro cugini, e che perciò attingevano di continuo l’acqua che sempre si versava, interruppero l’inutile fatica. Sisifo, costretto a spingere il masso su per la montagna, che subito cadeva rotolando a valle appena giunto in cima, si sedette sulla sua pietra. Tantalo dimenticò la sua sete e fame. Le Erinni, figlie della Notte, divinità terribili e implacabili, rimasero interdette. I giudici dei morti piangevano.
Perciò già l’amore ha sempre vinto la morte, o l’ha almeno interrotta, sospesa, incantata. Anche chi resta, dopo aver perduto l’amata si consola quando pensa di raggiungerla, e a volte s’allieta quando è vicina l’ultima ora perché finalmente va a riunirsi a lei. O addirittura, in modo silenzioso e segreto perché nessuno si accorga, impazientemente di sua iniziativa anticipa la partenza.
Si danno anche casi di partenze assieme o quasi, e allora è un tenersi per mano con uno che va avanti e l’altra che lo segue, la qual cosa nel nuovo patto d’amore può accadere anche per gli arrivi, come già un po’ succede con i gemelli. Perché come la vita si scioglie nella morte, può avvenire ormai anche il contrario quando si raggiunge la coincidenza degli opposti.

36.

 

 

Avendo raggiunto la Coincidenza degli Opposti
− il maschile e il femminile assieme −,
l’altra metà in me ha il tuo aspetto.
Perciò ti ho detto che ci sei per sempre.
Queste unioni non avvengono
dove prevale il finito e il limitato.

La trentaseiesima frase, dopo aver riassunto i risultati già conseguiti o che si possono ottenere con il nuovo patto d’amore, precisamente l’unità di maschile e femminile, e perciò anche lo svelamento della metà nascosta che in tal modo acquista fissità e durata anche nel visibile e tangibile, negli ultimi due versi pone alla ribalta un altro aspetto del patto. Afferma che le nuove unioni “non avvengono dove prevale il finito e il limitato”. Perciò in un’altra dimensione che ha caratteristiche diverse, e se si pone come il suo superamento si può indovinarle: non sono finite e limitate e quindi infinite e illimitate. D’altronde in quale altro luogo un volto visto in questo mondo dove tutto muta e trascorre potrebbe diventare fermo in se stesso e immutabile!
Un’anticipazione di un tale mondo esiste già, è l’arte. C’è forse mutamento e fine nel volto e corpo della Venere di Milo, della Gioconda di Leonardo, della Madonna con il Bambino di Raffaello! Ecco perciò irrompere nel finito e nel limitato la possibilità di rendere imperiture le immagini di qui come si fa con la pittura e la scultura, oggi anche con la fotografia. Lì nella carta e nel marmo, qui nella mente. E si cercherà, semmai, fra le illimitate ripetizioni sempre la stessa, o saremo noi, nel mondo delle metà, ripetizioni di figure eterne e immutabili.
Come ha già previsto Platone tanti secoli fa con le sue Idee. Egli però ha posto quel mondo nell’Iperuraneo mentre noi non lo collochiamo così in alto. Il nuovo patto d’amore si fa qui, ha come base quello precedente, non si sostituisce ad esso ma soltanto lo completa e lo arricchisce.

37.

 

 

Il metodo finora seguito per continuare la specie
sarà anche quello per perpetuare il singolo.
Però è necessario raggiungere un maggior grado
di fusione e consapevolezza,
quello che si ottiene con la Coincidenza degli Opposti.

Una conferma che il nuovo patto d’amore non elimina quello esistente ma lo completa e lo arricchisce, è contenuta nella trentasettesima frase. Essa afferma che il metodo “per perpetuare il singolo” è lo stesso di quello in uso fino ad un certo punto per la specie, ma poi, appunto, c’è qualcosa che s’aggiunge. Dall’indistinto e indeterminato fluire − che opera anche al livello delle attuali strutture umane (famiglia, società, civiltà) −, ciò che s’aggiunge porta al distinto e al determinato, apparentemente nulla mutando nel mondo delle apparenze.
Ciò non esclude che ci sia anche la dimensione del pensiero puro, indipendente dalla sensibilità, vale a dire il mondo delle idee, l’Iperuraneo, il Tao, il Pleroma, il Paradiso, dimensione o stato mentale cara alle religioni e a tanti sapienti e filosofi. Ma il Patto qui ne fa soltanto cenno, anche perché esso mira ad ottenere un duplice vantaggio per i suoi firmatari: che essi siano unità e dualità assieme. Che siano contemporaneamente essere e non essere, essere già stati e aver dimenticato, essere un tutto e sentirsi brevi, recitare la propria parte nel gran teatro della vita ed attenderne una nuova fra le quinte. Com’essi già sono, d’altronde, ma inconsapevolmente. Dopo la firma, invece, in modo chiaro e distinto.

38.

Il prossimo passo avanti dell’Occidente
quello che ha già il piede alzato
è nella direzione della coincidenza degli Opposti.

Si passa da un Patto a due, che integra e perfeziona l’antico rapporto d’amore, a “un passo avanti dell’Occidente” previsto nel Patto stesso. D’altronde si è sempre affermato che è dalla coppia, che si unisce in matrimonio e che forma la famiglia, che inizia ogni altra aggregazione e sviluppo: le comunità, le società, le istituzioni, la civiltà. Anche perché è lì che avviene la procreazione, che è il continuo darsi il cambio nella vita e perciò in tutto quello che da essa si è formato e si sviluppa.
Quindi non c’è sorpresa se ora Il nuovo patto d’amore diventa sorgente, lo era anche il vecchio. E se la sorgente diventa ruscello, torrente, fiume, lago, mare. Se diventa Occidente.
Un nuovo e diverso Occidente a questo punto, com’è nuovo e diverso il Patto fondato sulla coincidenza degli opposti. Sui molti di essi che abbiamo elencato in queste pagine ma anche, come risulta sempre più evidente, su quelli che non abbiamo qui nominato, o non ancora. All’inizio invece solo uomo e donna, com’è sempre accaduto per ogni cosa che nasce. Come Adamo ed Eva, madre di tutti i viventi. Come il maschile e il femminile del simbolo del Tao, da cui tutte le cose hanno avuto origine.
Ma è davvero questa la direzione che sarà seguita? Attualmente è quella scientifica e tecnica la dominante, ma si tratta pur sempre di una signoria esercitata da un ramo della conoscenza e non da tutta. Da quello che, quando esso non era così sviluppato, andava sotto il nome di filosofia fisica. L’antica fisica aristotelica sovrastata però dalla metafisica. Quella che oggi non appare, perché il suo cielo è stato oscurato dalla Notte, e finora sono pochissimi coloro che hanno lasciato le luci artificiali degli accampamenti notturni e sono usciti ad affrontare l’oscurità e il mistero, ma chi l’ha fatto ha cominciato a vedere le stelle. Non solo la luce della ragione, perciò, da cui scienza e tecnica sono derivate, ma anche quelle di altre fonti.
Ecco perché la realizzazione scientifico tecnica non dovrebbe dominare ancora per molto, o perlomeno in modo così esclusivo; perché non ha verità e lo dice essa stessa; perché così com’è rappresenta un pericolo. C’è il rischio che passi i limiti ed esploda: Sarebbe la bomba nucleare il grande botto a imitazione del Big Bang. Dai cui frantumi nascerà un altro universo, diranno gli ottimisti, ma ci sarebbe da aspettare troppo. Anche se, come diceva Nietzsche, nel sonno non c’è trascorrere di tempo e ancora meno ce n’è nella morte. Poi verrà ancora il tempo della vita, ma non si vorrebbe aspettare tanto.
Quanto, allora, se il pericolo più grande si riuscirà ad evitarlo? L’Occidente “ha già il piede alzato” nella direzione del Patto, afferma la trentottesima frase, quindi non dovrebbero esserci tempi lunghi se l’opera di civiltà continua. Altrimenti ci sarà la fine del mondo, o certamente quella dell’Occidente che però si è esteso in tutto il globo.

39.

Quando le due metà s’incontrano
e coincidono inizio e fine,
una succede all’altra
come il giorno alla notte,
si sorreggono a vicenda
e non c’è fine.

Partiti da una specifica coincidenza degli opposti, quella fra uomo e donna, lungo il cammino per seguirne lo sviluppo e renderla stabile e durevole con un patto quella prima unità ne ha introdotte e coinvolte altre. Quelle antiche già esistenti che si vedono da fuori e si toccano e quelle che invece non sono ancora entrate in scena − almeno per noi spettatori umani −, e stanno dietro le quinte, ma di cui si colgono i loro aspetti separati e incompleti e si intuiscono i loro rapporti segreti. Fra le prime il giorno notte, estate inverno, le fasi della luna, gli infaticabili ritorni dei pianeti sulla volta celeste. Fra le seconde: la veglia e il sonno, il conscio e inconscio, il bene e il male, la vita e morte.
Fra le seconde, prima di questo Patto e finché esso non sarà presentato, letto e sottoscritto da tante coppie, anche l’uomo e donna. Anch’essi appartengono alle metà non ancora uscite dalle quinte in modo stabile e sicuro, anche se di rappresentazioni dove hanno svolto le parti dell’unità più grande ce ne sono state tante. Ma ora questa coppia, che finora si è formata in via sperimentale, è ad un passo dalla ribalta ed è sul punto di occupare stabilmente la scena. Non solo con rappresentazioni occasionali perciò, com’è capitato finora. Forse le prime erano volute dal destino come anticipazioni, e finivano spesso in modo tragico perché si svolgevano quasi in incognito, in luoghi e tempi non adatti, ed erano come avversate. Ma dopo il Patto, rimarranno sulla scena in modo stabile e continuo come le coppie di opposti che abbiamo prima nominato, come il giorno notte per intenderci meglio, di cui abbiamo visione e conoscenza perché stanno alle spalle delle nostre esistenze singole e incomplete ma in procinto di diventare unità stabili e sicure. Le quali perciò, finora, fungono da spartiacque fra il noto e l’ignoto, la conoscenza e il mistero. E l’occupazione della scena che il Patto stabilisce, avverrà come per quelle. La scomparsa di una metà sarà solo temporanea perché è legata all’altra che sta nell’apparenza e quest’ultima acquista pienezza dalla prima.
“Si sorreggono e si tirano a vicenda” dicono i versi “e non c’è fine”.

AVVISO
L’avventura è poi continuata con l’uscita dal giro delle apparenze e
l’arrivo in Centro. Questa parte finale del viaggio è raccontata nel
libro “L’antica via dei miti e dei misteri – percorsa ora con la
lampada della conoscenza filosofica”, Editrice Leonardo e in vari post
fra i quali “Nietzsche e l’uscita dal cerchio dell’eterno ritorno” e
“Dalla sapienza alla sapienza seguendo la via filosofica
“.

[5/5 – Fine]

Il nuovo patto d’amore. Seconda parte

19 dicembre 2010

Il nuovo patto d’amore, fondato sulla coincidenza degli opposti (4/5)

Leggi i capitoli 1-7
Leggi i capitoli 8-13
Leggi i capitoli 14-23

 

Jean Vignaud, Abaelard und Heloïsa (1819)

Seconda parte

La seconda parte è dedicata in maggior misura al lato oscuro e al metodo seguito per superarlo. Il metodo è quello seguito dalla filosofia, amica della sapienza e suo braccio secolare, e il risultato ottenuto gli va perciò accreditato. Ecco perché la filosofia non può esser lasciata fuori del nuovo patto d’amore: perché la coincidenza degli opposti che essa ha raggiunto nel campo della conoscenza e che richiede il superamento del lato oscuro, è anche quanto il Patto vuole. Cerchiamo di capirne un po’ di più.
L’oggetto dell’amore e della conoscenza a questo punto sembra lo stesso. Esso è l’unità del tutto di cui un esempio è l’uomo e la donna, vale a dire quello di cui ci occupiamo in particolare modo in queste pagine. L’amore l’ha anche realizzato e continua a realizzarlo nel modo che si è detto: coincidenza di cellula e spermatozoo nel microcosmo, unione d’uomo e donna nel macrocosmo. Ma le unità raggiunte finora non dipendono dai partecipanti all’unione. Essi entrano nella scena perché chiamati e recitano la parte a loro assegnata dalla Natura o da Dio, e sentono che quella è unica ed immortale ma che la recita finisce.
Crediamo che da questo punto si sia mossa la filosofia: dall’unità del tutto percepito come sentimento e intuizione, per aprire quel libro, svolgere quel rotolo. Infatti, come ben si sa, si è mossa dalla sapienza. Socrate dai presocratici. Perciò quasi una rivolta degli attori, la filosofia. Portati a recitare la parte più bella e completa, quella che li innalzava fino al divino, non sono più voluti apparire e sparire soltanto, a comando, a tempo determinato. Perciò è stato amore a muovere la conoscenza a cercare l’immortalità. Quella del singolo che ha già in sé la coincidenza degli opposti, ma non lo sapeva, e quella dell’unità uomo donna, che è quanto appare nel gran libro del mondo, dove però le cose sono divise a metà.
A questo punto, non è più fuori luogo parlare di filosofia in un patto d’amore e così ci accingiamo a fare. In modo un po’ discreto tuttavia, per riguardo a chi dovrà leggerlo e firmarlo. Perché se è vero che il sentimento dell’amore è comune e universale, e ciascuno o ciascuna non ha timore di confrontare il proprio con quello di Romeo, Giulietta, Paolo, Francesca, Abelardo, Eloisa, e pensano d’essere capaci di uguagliarlo o perfino di superarlo, non altrettanto comune e universale è la conoscenza filosofica. Sarà pur vero che gli uomini sono tutti un po’ filosofi, ma le vette e gli abissi che Platone, Cartesio, Kant, Nietzsche, Heidegger, hanno raggiunto per sentieri spesso inesistenti quando il cammino si forma camminando non sono alla portata di tutti e quasi nessuno si mette in testa di riuscirci. Anzi i più neppure ci pensano e gli altri, quasi tutti, seguono i sentieri già segnati o ci vanno in funivia.

24.

L’Inconscio è il sonno dell’umanità
di cui ogni membro è contagiato,
perché ogni uomo è specchio del totale.
E il sonno dell’umanità
con i suoi sogni di risveglio
è nella parte a notte dell’Intero.

Nel simbolo che figura in copertina, costituito da un quadrato a due colori − bianco e nero −, e da un cerchio iscritto anch’esso a due colori − giallo e grigio −, il nero e il grigio raffigurano l’inconscio, e c’è una linea − un confine − che lo divide dalla metà opposta, vale a dire il conscio. Inconscio, l’abbiamo detto altre volte, è anche il sonno, esso sta da quella parte. Quello del singolo, abbiamo inteso finora. Ma il primo verso della ventiquattresima frase lo aumenta a dismisura: dice che è anche il “sonno dell’umanità”; ed aggiunge: “da cui ogni membro è contagiato, perché ogni uomo è specchio del totale”. Per questo dire un riferimento a Jung, al suo inconscio collettivo, sembra perfino d’obbligo. Poi, che quel misterioso pelago comune influenzi il sonno di ognuno, anche questo è perfino ovvio. Similmente dall’altra parte c’è una coscienza singola e un mare di coscienza fatto di storia, cultura, leggi, istituzioni, usi e costumi, e la piccola è dentro la grande.
Dunque l’inconscio di ognuno, la sua metà nascosta, è nascosto nell’inconscio collettivo. La seconda notte avvolge la prima. O è un segreto dentro a un segreto, e così immaginando e riflettendo ci è venuto in mente ciò che ha detto il grande mistico Ja far Sâdq: “un segreto velato in un segreto, il segreto di qualcosa che rimane velato, un segreto che solo un altro segreto può insegnare: è un segreto su un segreto che si appaga di un segreto”.
Infine la seconda metà della frase che dice che “i sogni di risveglio” emergono dal “sonno dell’umanità” che si trova “nella parte a notte dell’Intero”. Una sorpresa se è da quell’abisso senza fondo, da quel segreto iscritto in un segreto, da ciò che fra i suoi nomi ha anche morte, che essi salgono? Non dovrebbero giungere dalla coscienza, dalle sue idee chiare e distinte, dalla parte a giorno dell’intero? Decisamente no e un po’ lo sapevamo, questa è solo una conferma. Perché è l’altra parte che possiede in maggior misura il dono delle visioni future. Cassandra era donna, la voce dell’oracolo di Delfi era quella di una vergine sacerdotessa, Tiresia stesso, cui si è rivolto Ulisse per sapere se sarebbe ritornato alla sua isola e alla sua casa, poteva conoscere il futuro perché era uomo ma prima aveva vissuto come donna in cui era stato trasformato, o donna ma era stato uomo.
Però se l’input veniva dal profondo, è nella luce che poteva acquistare figura e misura, e perciò l’ultimo verso parla di “Intero”, scritto così con la maiuscola, e così esso è la coincidenza di luce e tenebra, conscio e inconscio.
Ritorneremo su quest’argomento in un prossimo capitolo, il ventiseiesimo.

25.

Un semicerchio d’inconscio
è stato ritagliato
e già un po’ conquistato,
quello che occorre per congiungere
la fine della vita cosciente
con l’inizio di un’altra.
Così non c’è più separazione né l’oblio.

Ritornando al simbolo di copertina, al cerchio giallo grigio contenuto nel quadrato bianco nero, e a quel che abbiamo detto di essi: che rappresentano con i loro due colori il conscio e l’inconscio, si può ben capire alla luce di questa frase il perché del cerchio e il suo senso. Esso rappresenta ciò che di conscio e inconscio siamo riusciti a conquistare, anzi quel cerchio dentro il quadrato è il nostro mandala. Una figura quindi delimitata posta nell’illimitato, perché di tal natura è il quadrato che ha lati soltanto per poter essere rappresentato in questo mondo di cose distinte e separate, ma va immaginato senza confini.
Per la verità non di tutto il cerchio si occupa la ventiduesima frase ma solo della metà grigia, l’inconscio “ritagliato e già un po’ conquistato” – dicono i versi due e tre. Come e quando? E qui davvero le cose comincerebbero a complicarsi se si volesse dar retta a questa domanda e rispondere ad essa in modo esauriente, e il nuovo patto d’amore si allungherebbe oltre misura diventando un trattato che, per la sua mole, i lettori e i firmatari eviterebbero di leggerlo e firmarlo, come spesso accade ai volumi troppo lunghi e complicati. Perciò chi vuol sapere di più deve rivolgersi ad altri libri che abbiamo scritto dove le risposte sono state date. Però qualcosa è necessario dire anche qui, per dar conto almeno un po’ di quel semicerchio ritagliato nella metà nera del simbolo, espressione di una conquista ottenuta in tale zona. Quella che è servita per congiungere la fine con l’inizio e a raggiungere perciò la coincidenza degli opposti. Ecco perciò qualche appunto sui tentativi compiuti e i risultati ottenuti.
Il primo che ha tentato l’attraversamento della “notte santa” col metodo della poesia, inseguendo gli dei che stavano lasciando gli uomini, è stato Hölderlin, ma si è smarrito nelle tenebre. In quelle interiori che si chiamano anche pazzia, ed ha vagato in esse per più di quarant’anni, fino alla morte.
Per seguire la giovanissima fidanzata rapita dalla morte e portata nel suo regno tenebroso, anche Novalis ha affrontato il lato oscuro e molto ha intuito e scoperto di esso. Anche lui l’ha chiamato notte, “la dimensione invisibile che nasconde il segreto della vita diurna, senza di cui questa non ha senso”. Una notte regina del mondo, eccelsa annunciatrice di mondi sacri, più bella del giorno, perché “sacra, inesprimibile, piena di mistero” e dagli “occhi infiniti” − le stelle − che essa “dischiude in noi”, mentre il giorno ha solo il sole. Inoltre una notte che con volto severo si piega sul poeta e “sotto i riccioli (neri) che senza fine s’intrecciano, mostra la cara giovinezza della madre”. Notte perciò uguale a genitrice, uguale a madre, ecco finalmente un primo aspetto noto e caro dell’impenetrabile segreto di sempre; e, subito dopo, notte uguale a donna − a Sophie, la fidanzata bambina −, che da poco l’aveva lasciato solo nel giorno. Quest’ultimo rapporto è ciò che si riesce a cogliere quando in qualche modo l’uscita viene raggiunta o prevista e si aprono gli occhi sulla coincidenza degli opposti.
Freud ha adottato il metodo della bonifica. Ha detto che “l’intenzione degli sforzi terapeutici della psicanalisi è in definitiva di rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente dal Super-io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell’Es. Dov’era l’Es, deve subentrare l’Io. È un’opera della civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuiderzee”. E lo Zuiderzee era il mare interno dell’Olanda che gli olandesi hanno trasformato in terre emerse e coltivabili.
Ma coloro che si sono posti davvero sulla via che fino a quel momento appariva solo indicata, perciò come chi l’avventura la inizia dopo averla lungamente pensata e preparata, sono stati Heidegger e Jünger. Hanno preso la via della Notte entrambi e sono giunti fin sulla linea di Mezzanotte. Le loro esperienze e i risultati ottenuti sono stati raccontati in un libretto intitolato “Oltre la linea”.
Sono passati circa cinquant’anni da quell’impresa e nel frattempo anche quel fatidico confine fra due giorni, quello che finisce e quello che comincia non visto mai fuorché dai sapienti che hanno preceduto i filosofi, è stato superato e siamo giunti all’Alba dove ha cominciato a diventare visibile la coincidenza di tutti gli opposti.

26.

Ma ora il sogno che sogniamo
è quello appresso all’Alba,
quello che si dice che è il più vero,
quello che ti sveglia e lo ricordi.

In questa frase si riprendono temi già trattati ma non si può dire che sono pure e semplici ripetizioni. Piuttosto inviti. O meglio ancora sogno, come dicono i versi. Sogno ripetuto che impone l’attenzione. Sogno “appresso all’alba” che da sempre si dice che è il più vero. Di questi sogni ce ne sono innumerevoli in tutti i campi.
Non in uno solo ma in tre consecutivi, Cartesio ha colto l’informe nascita della filosofia moderna e poi ha lavorato per essa, per estrarla dalla pancia della Notte, come aveva fatto Socrate duemila anni prima. Così quell’inizio è raccontato. “Nella notte del 10 dicembre 1619, forse in accampamento danubiano presso Ulma, egli fece tre sogni di straordinaria intensità che gli rivelarono i fondamenti di una scienza mirabile e il piano di una completa riforma del sapere. Svegliatosi in preda ad emozione ed entusiasmo, fece voto di un pellegrinaggio alla Madonna di Loreto, se avesse potuto condurre a termine il programma scientifico sognato. Di fatto, egli dedicherà da allora la sua vita prevalentemente agli studi”.
Un triplice sogno di parole, d’architettura e di musica, dettò a Coleridge l’ammirevole frammento di Kubla Kham.
Stevenson ha detto d’aver sognato la trasformazione di Jekyll in Hyde.

I libri di Lewis Carrol hanno per tema i sogni, e sono sogni; similmente quelli di Howard Phillips Lovecraft, che sono trasposizioni dall’inconscio al conscio: “I sogni di questo tipo risalgono fino alla mia prima infanzia − ha detto quel sognatore −, e probabilmente continueranno sino al momento di scendere nell’avello. Sono altrettanto vividi che in gioventù, ma non di più. Fra quelli che ricordo meglio ci sono visioni di strapiombi paurosi, vette e abissi di orribile roccia nera e tenebra agghiacciante su cui mi portano in volo demoni neri e alati che mi tengono negli artigli e a cui, all’età di sei anni, ho dato il nome originale di ‘magri-notturni’! Effettivamente ho visitato strani luoghi che non sono di questa terra e che non appartengono a nessun pianeta conosciuto. Sono stato a cavallo di comete, fratello delle nebulose. Quanto alle tue ‘crisi di mezzanotte’, sono – o erano – fenomeni curiosi. Cosa puoi aver visto di così orrendo che la memoria ha dovuto liberarsene con il pietoso oblio? Ci sono mondi oltre i confini dello spazio che nessun uomo ha contemplato: mondi neri che non sono sferici o di altra forma, eppure sono vivi. Da essi nessun sognatore dell’universo non ha mai portato ricordi, tranne uno, ma era quasi folle e non è stato capito”.
Il violinista e compositore Giuseppe Tartini “sognò che il Diavolo (suo schiavo) eseguiva sul violino una prodigiosa sonata: il sognatore, una volta sveglio, trasse dal suo perfetto ricordo il “Trillo del diavolo”.
Un poeta invece è stato sfortunato perché del sogno e gli è rimasto soltanto il sentimento di una perdita infinita. Ho perso un verso bellissimo stanotte./ Ho provato ad annotarlo e non potevo./ L’ho ripetuto tante volte e l’ho scordato”.
“Si dice che la notte del 16 febbraio 1869, Dimitri Mendeleev abbia sognato tutti i 65 elementi conosciuti predisposti in una grande tavola. La mattina seguente, ha trascritto il suo sogno su una tavola. Questa prima tavola fu sottoposta a notevoli revisioni nel corso degli anni seguenti, ma nel 1871 assunse la sua nuova forma di grosso rettangolo con intersezioni di gruppi e periodi”.
“Nel 1865 il chimico tedesco Friedrich Kekule intuì la disposizione delle molecole del benzene mentre dormiva. Egli ha raccontato che era salito su una diligenza che viaggiava lentamente lungo le strade di Gand, in Belgio, verso l’università dove all’epoca insegnava. Era stanco e stava riflettendo sul problema del benzene, che dominava i suoi pensieri. Si assopì ma il problema non lo abbandonò neppure nel sonno. Sognò di catene di atomi che si contorcevano in questo o quel modo nell’unirsi agli atomi di idrogeno. Nel sogno, all’improvviso, una catena di atomi si piegò in modo che uno dei suoi capi si agganciò all’altro per formare un piccolo esagono di atomi di carbonio che giravano vorticosamente. Si svegliò di soprassalto e si rese conto che aveva trovato la soluzione”.
Buddha ha sognato le sue vite precedenti e si è “Svegliato” su di esse ricordandole, come si è già detto nel commento della nona frase.
Ermete Trismegisto si chiama così perché è nato tre volte e nell’ultima ha rivisto le precedenti, e anche di ciò abbiamo già parlato.
La conoscenza per Platone, come lui ha affermato, è ricordare.
Certamente sogni che risvegliano se gli autori li hanno riportati alla luce dal nascosto. Risvegliano a scoperte nuove ma anche a vita nuova ed essa diventa un sogno che ricorda un sogno: un sogno di lunga vita più grande e sviluppato della vita. Da cui si può arguire che anche la vita precedente era un sogno e come tale non è stato annullato dalla morte. Era nell’oblio, l’opposto del ricordo, ed è tornato; ma allora Risveglio va scritto così, con la maiuscola: come quello di Buddha, d’Ermete, d’Eraclito, e d’innumerevoli altri sconosciuti sognatori.
La morte non ha potere sulle cose che non sono materiali, come il sonno non ha potere sui giorni di vita precedenti. Perciò non li cancella e c’è continuità.

27.

Io ho compiuto il giro e sono uscito
dal punto dove Coincidono gli Opposti.
Dove inizio e fine sono lo stesso,
il conscio è una manifestazione dell’inconscio
e la vita un sogno della morte.

Se si ritorna alla venticinquesima frase, lì ci sono i tentativi compiuti per attraversare la Notte e i risultati conseguiti. Si afferma che col metodo filosofico, quindi in modo chiaro e distinto, o perlomeno con la lampada della ragione nella mano, simile al lume che i viandanti portavano con loro quando le vie non erano illuminate, alcuni sono giunti fino alla linea di Mezzanotte. Così dicono le testimonianze scritte di quell’impresa, alle quali la quasi totalità degli uomini non ha neppure posto orecchio perché l’avventura sconfina dai luoghi battuti e perfino da quelli immaginati. Comunque fino alla Mezzanotte si è giunti e si dovrà prendere coscienza di questo risultato se non si vuole continuare a precipitare nell’abisso. Com’è sempre accaduto, diranno i tiepidi e gli scettici, e perciò si può anche continuare così: chi si accontenta gode. Ma non sembra che sia ancora consentito. Ormai il dado è tratto, o si passa o si precipita. Non uno alla volta com’è accaduto finora seguendo le leggi della natura, o a gruppi numerosi come nelle epidemie o nelle guerre, ma in massa, forse tutti in una volta. Insomma, si raggiungerebbe il nulla anziché l’essere. Non quello piccolo d’ogni vita singola, ma la voragine dell’umanità, cosa che appare possibile ed è perfino prevista dalle religioni, dai miti e perfino dal pensiero razionale, come abbiamo visto citando casi di caduta collettiva accaduti nel passato e previsti per il futuro. Nel caso di mancato superamento dell’abisso, il pensiero razionale si è dato perfino le armi di distruzione totale, come se obbedisse al destino che vuole che non ci sia più cieca ripetizione − l’eterno ritorno dello stesso − e che si passi, o qui non si rimane.
Ma come si può attraversare la tenebra senza fine se anche l’avanguardia composta da esperti, anzi dai migliori specialisti del pensiero filosofico, si è fermata sulla linea di Mezzanotte e quel confine appare invalicabile? Firmando questo nuovo patto d’amore, è la risposta, perché esso contiene la soluzione. “Io ho compiuto il giro” afferma il primo verso, quindi la Mezzanotte è stata superata. E chi l’ha compiuto è giunto dove coincidono gli opposti, vale a dire la fine con l’inizio: fine della Notte con l’inizio del nuovo Giorno. E c’è di più, molto di più: perché il punto di coincidenza è anche uscita. In una nuova Luce, come ben si può capire, e da lì si vede che la vita è un sogno della morte, e che perciò vita e morte stanno assieme, come la veglia e il sonno.

28.

Superare la distinzione apparente,
raggiungere l’unità almeno fra le parti
che hanno sviluppato le più alte affinità,
è questa la meta più vicina che ci attende.
Uomo e donna sono le due parti,
e spesso, anche se inconsciamente,
si sono già trovate a combaciare.

Certamente l’avventura, che le frasi precedenti hanno un po’ svelato nella sua novità e vastità, ci terrà occupati almeno per un millennio ma intanto si può cominciare, dice la ventottesima frase. Un millennio è il tempo medio impiegato da una civiltà per apparire e svolgersi, com’è già accaduto d’altronde, anzi l’Occidente è sulla scena da oltre venticinque secoli. Si può cominciare dalla metà più a contatto, con la quale c’è la maggiore attrazione: con la donna per l’uomo e viceversa. Dall’abbiccì, insomma, da quell’inizio dell’unione di maschile e femminile che è servita finora alla conservazione e continuazione delle specie. Ma un ritorno all’inizio questa volta per continuare le due metà, vale a dire i due singoli che prima erano ignoti a se stessi nella parte a notte, e non la specie soltanto; e chi continua perciò è l’essere completo così raggiunto, anche se apparentemente scisso in due. Due che non si divideranno mai, neppure nelle avversità, come Paolo e Francesca nell’inferno dantesco.
Gli ultimi tre versi dicono che in questa direzione qualcosa è già avvenuto: le due parti “si sono già trovate a combaciare”. Il riferimento è ai grandi amori. Quelli non sono finiti con la morte fisica delle due metà: certamente non nel mondo della poesia, o in quelli del mito e della religione, e neppure nel mondo della filosofia, perciò non nel Giorno e nella Notte dell’Occidente. Lì hanno il loro posto sempiterno, però solo per previsioni, soltanto visti come in uno specchio. Lì c’è solo il progetto di quel che sarà domani la coincidenza degli opposti.

29.

La coincidenza rende indissolubile
e interminabile l’unione.
La conoscenza del segreto
della metà nascosta
ci rende immortali.

I primi due versi della ventinovesima frase hanno la brevità di un’affermazione apodittica: “La coincidenza rende indissolubile/ e interminabile l’unione. Ma quale coincidenza: quella operata dalla natura nei modi noti della cellula e dello spermatozoo, o quella dell’uomo e della donna nell’unione d’amore che è giunta ora nella dimensione della conoscenza? Tutte e due, è la risposta. Si vede pure che anche la prima continuamente si ripete e non ha fine, perciò è, appunto, “interminabile”. Ma all’interno di un’entità più grande, anzi immensa, che la sovrasta, vale a dire la natura. E la fusione di cellula e spermatozoo in essa è simile a onda di mare, foglia al vento, granello di sabbia continuamente mosso e disperso, stella dell’universo che s’accende e si spegne.
Diverso è il caso della coincidenza uomo donna, altrimenti il Patto sarebbe scritto sulla sabbia. Non saremmo noi a scriverlo per noi stessi ma, appunto, la natura o Dio; e si sarebbe giocati dalla prima innumerevoli volte, come fa con cellule e spermatozoi e anche con noi finora, e scartati altrettante; o si dipenderebbe da Dio completamente perché solo lui secondo le scritture in uso ha la facoltà di promuovere o bocciare all’esame finale.
Invece no, la coincidenza degli opposti è un patto a due. Due così uniti che , come l’ermafrodito del mito, è autosufficiente in tutto. In quell’inizio antico ha fatto paura agli dei, e Giove l’ha diviso in due e ha potuto farlo perché la vittima designata non conosceva ancora i suoi poteri.
Ma oggi è giunto a questa consapevolezza. Dopo millenni è giunto a questa conoscenza di sé.
Gli ultimi tre versi aiutano e rafforzano i primi due, ma anziché alla coppia uomo donna essi si rivolgono ad uno solo dei due, che però ha in sé anche l’altro dopo che ha scoperto il “segreto della sua metà nascosta”. E se l’unione è “interminabile”, il singolo è “immortale”. È come il sole che non muore quando tramonta e scompare, ma soltanto esce dall’apparenza e poi ritorna.

30.

Dopo tanti progetti e tentativi
è venuto il momento di costruire il passaggio
che porta fino alla Coincidenza degli opposti.
Un cammino che prima veniva compiuto
scalando le cime e affrontando gli abissi:
ciò che hanno realizzato in Oriente
e i mistici di tutte le religioni.

Ma alla fine l’appalto del ponte
è toccato all’Occidente
che ha presentato al concorso
la sua sapienza, la filosofia e la scienza
e perfino i tentativi fisici della tecnica
che possono servire di supporto.

Ci siamo! Quel che abbiamo a lungo rimandato − la filosofia −, perché abita soprattutto il pensiero razionale e perciò in questo nuovo patto d’amore − come s’è detto − è un po’ fuori luogo, ora non si può più evitare. Perché questa trentesima frase parla chiaramente di appalto del Ponte, conferito all’Occidente: un appalto concorso a quanto pare che comprende sia il progetto che l’opera, e la prima parte è “la sua sapienza, la filosofia e la scienza” e perfino la tecnica. Perciò un progetto che è iniziato molto tempo fa se si considera che la sapienza occidentale ha preceduto la filosofia, e la filosofia è cominciata con Socrate quasi venticinque secoli fa.
In un certo modo la prima idea del Ponte era già presente interamente nella sapienza, nel pensiero di Anassimandro che abbiamo citata nel commento della frase dodicesima, ma soprattutto nel poemetto di Parmenide intitolato Sulla natura. In esso in potenza c’è già tutto. L’arrivo dalla Notte. L’attraversamento della Porta “che divide i sentieri della notte e del Giorno”, perciò quella che si trova nel punto dove la tenebra comincia a svanire nella luce, e che si è aperta per lasciarlo passare. La sfera luminosa dell’Essere dove è entrato, che è la dimensione dove non ci sono più parti contrapposte né staccate.
C’è già l’intero giro in quell’inizio della conoscenza, vale a dire c’è anche la fine, quella che nel Patto ha l’aspetto della coincidenza uomo-donna, e non poteva essere che così, se inizio e fine sono “lo stesso”.
Quindi l’idea c’era già di ciò che poi è stato raggiunto, dopo venticinque secoli di filosofia e scienza. Dopo c’è stato il lungo cammino nel Giorno, nella luce della ragione per i più, dall’Alba al Tramonto, dove l’Occidente è giunto davvero più di cent’anni fa, vale a dire non solo nei modi della previsione e del progetto. Poi l’inizio dell’attraversamento della Notte da parte di alcuni.
Heidegger e Jünger, come è già apparso in queste pagine, sono arrivati fin sulla “linea di Mezzanotte”. Il loro sogno era di arrivare fino al Risveglio. Dopo il lungo sonno ci sarà il momento improvviso del risveglio, ha detto Heidegger. Per Jünger la Mezzanotte era “un’ora di morte”, − perché lì, come già per Paolo di Tarso, l’uomo vecchio finisce −, “ma anche un’ora di nascita”, quella che sarebbe diventata visibile dopo l’attraversamento della Notte.
Sono passati circa cinquant’anni da quelle previsioni e nel frattempo anche la “linea” è stata attraversata, ed è stata superata la parte oscura che va dalla Mezzanotte all’Alba. Rimane da vedere come, anche se qui, come si è già detto, si potrà solo farne cenno. Ma occupiamoci prima di quel che rimane ancora da commentare nella frase in esame.
Essa dice che “scalando le cime e affrontando gli abissi” si è giunti ugualmente alla coincidenza. In altre parole ci sono stati dei risultati attenuti in modi diversi e luoghi diversi da questo che stiamo illustrando. Ed è vero: basta pensare ai ponti di corde sui baratri in Tibet, che bisogna attraversare per raggiungere i monasteri dispersi fra le cime, o ai misteriosi sistemi di elevazione escogitati dai monaci cristiani per raggiungere quelli del monte Athos. Anche così l’unità è stata raggiunta. Oppure nel silenzio e nell’isolamento dei conventi, aspettando e bussando perché la Porta si apra. Anche in tal modo in Oriente l’atman, o sé individuale, si è unito al Brahman − il sé universale −; o in Occidente il singolo e sperduto mortale si è legato a Dio.
Ma all’Occidente, che accanto al progetto del Ponte ha sviluppato anche la scienza e la tecnica in grado di realizzarlo, si è chiesto e si chiede molto di più: che esso non sia adatto solo ad alcuni con qualità eccezionali, ma a molti, anzi a tutti coloro che vorranno passare. Similmente sono state realizzate funivie, filovie, per le cime e gli abissi della terra.
Ma cosa c’entra la tecnica, si dirà, per quelle cose che non sono di questo mondo? Lo dicono gli ultimi due versi: i suoi tentativi “possono servire di supporto”.
Supporto è il corpo, e la tecnica, che appartiene alla mente ed è il suo braccio, da molto sta occupandosi di lui, guarendo le parti ammalate con le medicine, sostituendo quelle rotte o non più funzionanti con le protesi, entrando nei suoi codici segreti con i suoi strumenti; e oggi è già all’opera per clonarlo. Sembra proprio questo il progetto dell’Occidente che risulta vincitore dell’appalto: la ripetizione dello stesso corpo per una mente che non si perde nell’oblio, dove perciò la tecnica ha la sua parte.
Però giunti a questo punto, cioè all’affidamento dell’appalto del Ponte all’Occidente e quindi alla conoscenza di tutto il progetto, manca ancora la spiegazione di com’è stata superata la parte d’abisso che va dalla Mezzanotte, dove sono giunti Heidegger e Jünger, all’alba del nuovo giorno. Lo diciamo adesso nel modo più contenuto. Perché − lo ripetiamo − questo non è luogo per la filosofia, ma non può mancare in questo frangente. Solo seguendo la via della conoscenza, infatti, siamo giunti alla conclusione, e la filosofia ha avuto la parte del leone in quest’impresa. Senza di essa non si avrebbe mai potuto superare l’abisso con un ponte di tal genere e perciò a compiere l’impresa che ora ci accingiamo a raccontare con le parole di chi l’ha compiuta.

[4/5 – Continua]

Il nuovo patto d’amore

8 dicembre 2010

Il nuovo patto d’amore, fondato sulla coincidenza degli opposti (3/5)

Leggi i capitoli 1-7
Leggi i capitoli 8-13

 

Dante Gabriel Rossetti, Il sogno di Dante alla morte di Beatrice (1856)

14.

Sai cosa vorrei!
Ritornare passando per il tuo ventre
perché è l’unica via per arrivare
fino a queste plaghe della luce
solare e del pensiero,
ed è anche bello e desiderato
il tuo cammino.

Che ci sia una via del ritorno che il nuovo patto d’amore nomina e pone in primo piano, e che per arrivare alla meta si debba prima affrontare il cammino oscuro, crediamo che anche il più distratto lettore l’abbia ormai recepito. Ed ora la quattordicesima frase − si potrebbe anche dire il quattordicesimo articolo del patto −, ritorna su questa possibilità che si vede e si tocca e afferma che essa è l’oggetto del desiderio per antonomasia che tutti hanno, cui tutti tendono e dove s’immergono, anche se è misteriosa e tenebrosa quella via. E dice anche di più: che quel cammino ora è desiderato anche dall’autore del patto. Vorrei ritornare passando per il tuo ventre, dicono i primi due versi, e sembra che nulla sia posto a condizione e limitazione di quel desiderio. Eppure di una discesa pur sempre si tratta. Eppure nei miti, in molte religioni o forse in tutte, e perfino nel pensiero filosofico, quella nell’oscuro mondo materiale è sempre stata considerata una caduta rovinosa, singola o collettiva. Quella che dal Cielo e dal Totale ci ha fatti arrivare in questo mondo, dove ci troviamo soli, sperduti, in mezzo alle necessità, ai dolori, alle malattie, come appunto narrano quelle fonti antiche. Ne ricordiamo alcune.
Nell’Inno alla perla che si trova negli Atti di Tommaso, “Un principe giunge dall’Oriente per cercare in Egitto la perla unica che si trova in mezzo al mare, avvolta nelle spire del serpente a sonagli”. La perla è l’anima dell’uomo decaduta che egli dovrebbe riportare in patria, ma in Egitto viene fatto prigioniero degli uomini del luogo, che gli fanno mangiare il loro cibo, così che egli dimentica la sua identità: “Ho dimenticato ch’ero figlio di re e ho servito il loro re; ho dimenticato la perla per la quale i miei genitori mi avevano inviato e per la pesantezza del loro nutrimento caddi in un sonno profondo”. Non è difficile cogliere il significato delle immagini, spiega Mircea Eliade che ha commentato questo racconto nel suo libro Storia delle credenze e delle idee religiose. Il Mare e l’Egitto sono i simboli comuni del mondo materiale, in cui sono caduti prigionieri sia l’anima dell’uomo sia il figlio del Re − qui nelle vesti di Salvatore ma non perciò immune dalle attrazioni materiali −, inviato a riscattarla. Disceso dalle regioni celesti, l’eroe abbandona il suo “manto di gloria” e indossa l’ “abito immondo”, per non distinguersi dagli abitanti del paese; si tratta dunque dell’’involucro carnale’, del corpo, nel quale s’incarna.
In una leggenda indiana che risale all’epoca delle Upanishad − anch’essa esposta e commentata da Mircea Eliade nel libro già citato −, il maestro yogi, Matsyendranâth “s’invaghì di una regina e si stabilì nel suo palazzo” , dimenticando completamente la propria identità o, secondo un’altra variante, cadde prigioniero delle donne “nel paese di Kadali”. Qui è apertamente la donna la causa della caduta, ed è la via “carnale” che conduce all’oblio della propria natura immortale con i miraggi della vita profana.
Nella Bibbia la caduta avviene dall’Eden alla Valle di lacrime, e anche questa è provocata da una donna, Eva.
Oltre che per irresistibile attrazione fisica, si cade o si scende per amore.
Orfeo ha affrontato la via dell’abisso infernale per trovare la moglie Euridice, che era stata improvvisamente ghermita dalla morte, e riportarla in vita.
Ulisse è andato a cercare fra le ombre dei morti l’indovino Tiresia, per sapere se il destino gli concedeva di ritornare alla sua isola e rivedere la moglie Penelope.
Teseo e Piritoo sono scesi negli Inferi per riprendere Persefone, la splendida fanciulla che era stata rapita e portata là sotto da Hades, il fratello di Giove, re di quel regno, che voleva farla sua sposa. L’hanno trovata ma l’impresa non è riuscita e i due sono rimasti imprigionati.
Dante è sceso all’Inferno e l’ha percorso da cima a fondo, ha attraversato il Purgatorio ed è entrato in Paradiso per rivedere Beatrice e farsi perdonare tanti peccati commessi in gioventù.
Oppure ci sono anche cadute collettive o generali.
Nel mondo classico c’è la discesa dell’umanità dall’età dell’oro fino a quella che Esiodo chiamò età del ferro, e poi ne ha sottinteso una ancora più sotto, probabilmente questa dove oggi stiamo conducendo le nostre vite perdute nel nichilismo. Nell’età dell’oro gli uomini vivevano “come dèi, senza affanni nel cuore,/ lungi e al riparo da pene e miseria, né per loro arrivava/ la triste vecchiaia, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia,/nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni;/ morivano come vinti dal sonno, e ogni sorta di beni/ c’era per loro; il suo frutto dava la fertile terra/ senza lavoro, ricco e abbondante, e loro, contenti,/ sereni, si spartivano le loro opere in mezzo a beni infiniti.” Invece nell’età del ferro “né mai di giorno (gli uomini) / cesseranno da fatiche e affanni, né mai di notte,/ annichiliti; e aspre pene manderanno loro gli dèi./ Però, anche per questi, ai mali si mischieranno dei beni./ Ma Zeus distruggerà anche questa stirpe d’uomini mortali/ quando nascendo avranno già bianche le tempie;/ allora né il padre sarà simile ai figli né i figli al padre;/ né l’ospite all’ospite, né l’amico all’amico/ e nemmeno il fratello caro sarà come prima;/ ma ingiuria faranno ai genitori appena invecchiati;/ a loro diranno improperi rivolgendo parole malvagie,/ gli sciagurati, senza temere gli dèi; né/ ai genitori invecchiati di che nutrirsi daranno.”

Nel mondo cristiano, per Meister Eckhart la creazione stessa è una caduta, attraverso cui l’Indistinto cade nelle distinzioni e produce la molteplicità degli esseri. L’Uno precipita allora nel male e nel non-essere.
Nella sapienza e filosofia parlano di cadute dell’anima nel carcere del corpo Ermete Trismegisto e Socrate, da cui poi si dovrà cercare di risalire attraverso una dura espiazione.
Ha detto il primo: “Vedi, o figlio, attraverso quanti corpi noi dobbiamo passare, attraverso quante schiere di demoni, attraverso quale successione continua e quali orbite di astri, per affrettarci verso l’Uno e Solo”.
Ha detto Socrate che il corpo umano dove l’anima si è incarnata è un carcere, una tomba, da cui si esce con la morte, ed essa non è perciò da fuggire, ma si deve aspettarla come una liberazione. Come lui ha fatto
Così alcune delle cadute presenti nelle religioni, nei miti, nella poesia, nella sapienza, nella filosofia, eventi considerati sempre tragici e funesti.
Ma quale sorpresa ora in questa tredicesima frase! Quel che sempre è apparso in tal modo viene addirittura desiderato, voluto, perseguito. Ora diventa la via che scende, ma che è necessario prendere se si vuole risalire e ritornare.
Anche le altre cadute avevano ritorni, ma per chiamate dall’alto, per aiuti trascendenti, o seguendo le vie della virtù e della conoscenza come in Socrate. Così nell’Inno della perla sono i genitori del principe che gli inviano una lettera dov’era scritto: “Svegliati e levati dal sonno e ascolta le parole della nostra terra. Ricordati che sei figlio di re. Vedi in quale schiavitù sei caduto. Ricordati della perla per cui sei stato inviato in Egitto”. E il principe ruppe il suggello, la lesse…Si ricordò di esser figlio di genitori regali… Gli tornò in mente la perla per cui ero stato inviato in Egitto e si misi all’opera per incantare il serpente a sonagli. Con l’incantesimo lo fece addormentare, poi pronunciò su di lui il nome di suo padre, prese la perla e si affrettò verso la casa paterna”.
Nella leggenda indiana è il discepolo, Goraknâth, che salva Matsyendranâth. “Gli compare dinanzi sotto le sembianze di una danzatrice e si mette a ballare accompagnandosi col canto di melodie enigmatiche. A poco a poco, Matsyendranâth ricorda la propria identità, capisce che la ‘via carnale’ conduce alla morte, che il suo ‘oblio’ era in fondo l’oblio della propria, vera natura immortale e che gli ‘incanti di Kadali’ rappresentano i miraggi della vita profana. Goraknâth gli spiega che è stata la dea Durga a provocare l’‘oblio’ che per poco non gli costava l’immortalità; questo incantesimo, aggiunge Goraknâth, simboleggia l’eterna maledizione dell’ignoranza che la ‘Natura’ (cioè Darga) fa gravare sull’essere umano”.
Nella religione cristiana il ritorno in Paradiso ha richiesto il sacrificio del figlio di Dio, evento simile a quello descritto nell’Inno della perla, dove il Salvatore è il figlio del Re.
Rispetto a questi che portano a mondi trascendenti, il ritorno che Il nuovo patto d’amore stabilisce possiamo chiamarlo piccolo. Vale a dire non conduce nell’Iperuranio, o nel Pleroma, o nel Nirvana, o in Paradiso, o nell’Essere, ma alla coincidenza degli opposti che s’aggiunge all’esistente che già c’è: a questo mondo che ritorna ogni mattina aprendo gli occhi, anche se a volte dopo qualche esitazione quando si proviene da un profondo sonno, e agli enti apparenti da un solo lato, costretti a camminare verso la propria fine. Perciò molte cose sono cambiate dai tempi dei miti e delle religioni dominanti. Prima davvero la discesa portava al regno della solitudine, dello smarrimento e della morte. Ma ora se s’inizia da un grembo di donna entrando in esso, è per poi uscire con ben altre possibilità e prospettive: l’unione con l’altra metà che si vede e si conosce, che si guarda da fuori ed è bellezza.
In ogni modo si è sempre entrati lo stesso, anche se appariva soltanto la parte del cammino che portava fino all’abisso dove si precipitava, e così si continua ancora. Indipendentemente dalla nuova conoscenza che stiamo qui illustrando perciò, la prima forse che parla del superamento della tenebra che sta alla fine d’ogni vita su questa terra. Nessuno quando entra nella donna e sparge i suoi semi, e molto spesso perché rimanga incinta, pensa al destino solitario e mortale del bambino che nascerà: vale a dire anche se allo stato attuale le cose si mostrano nel modo che si è appena detto.
Se tutto ciò è sempre avvenuto e avviene nonostante i risultati che finora si conoscono, che sono fallimentari, per cui si dovrebbe evitare di moltiplicarli, perché si continua? Perché la segreta aspirazione all’unità d’uomo e donna ha sempre operato, sia pure in modo oscuro e segreto, e pur di raggiungerla sono state seguite le vie più insidiose, ci siamo perduti nei luoghi più bui, abbiamo sopportato le pene più grandi. Solo così si può spiegare questo modo di procedere: soltanto se nel profondo la coincidenza uomo donna è sempre esistita.
E qui si dimostra che così è sempre stato, che si è sempre segretamente saputo che si doveva solo trovare la via dell’unità.

15.

Certamente la donna è la causa delle ricadute
negli immutabili cicli della natura
per cui sono anche inganni il suo volto
il suo sorriso, le forme tenere e rotonde,
dei suoi seni e dei suoi fianchi,
i fori d’ingresso nel suo corpo.
Ma la ripetizione instancabile della vita
rappresenta anche l’unica speranza
di cercare e trovare l’uscita da quei giri,
ciò che ho già incominciato a comunicare
e insegnare. E in questa scoperta è contenuto
il completo riscatto della donna.

La quindicesima frase si sofferma sui caratteri femminili che attirano fino alla profondità del suo corpo, ciò che per i miti, le religioni, la sapienza, la filosofia, sono state e continuano ad essere le cadute nella materia, assumendo rivestimenti carnali e vivendo vite miserabili, solitarie, dolorose. Quel che abbiamo visto esposto nel capitolo precedente, insomma. Perciò non c’è dubbio: volto, sorrisi, seni, fianchi rotondi e capaci, fori d’ingresso sono trappole se poi le conseguenze sono quelle che sappiamo.
Ma chi o che cosa viene attirato nella trappola mortale? Ben si sa: l’anima. La perla dell’Inno della perla, la sapienza dello Yogi nella novella indiana, la condizione divina di Adamo o dei primi uomini che vivevano assieme agli dei nell’età dell’oro. È un po’ questo il discorso: c’è una lunga strada che sale dal profondo − dove si annidano i semi della vita umana come nella terra quelli delle piante −, che con tanta fatica e rischio si riesce a percorrere, si raggiungono le luci del sole e della ragione, alcuni arrivano fino alla regioni celesti e perfino ad incontri diretti con la divinità, e all’improvviso di nuovo giù. All’improvviso appare la donna terrena che attira con le sue bellezze e le sue grazie: anche i poeti, i saggi, i santi, i filosofi. All’improvviso di nuovo dentro le tenebre di corpi materiali dopo aver raggiunto il settimo cielo, la patria divina, la casa del Padre. Allora dagli alle donne. Non c’è parola di disprezzo che i Padri della chiesa hanno loro risparmiato. Meglio ancora era bruciarle quelle streghe. E metterle da parte se non si poteva eliminarle tutte perché contassero il meno possibile, o segregando in convento quelle che si votavano a Dio, collocamento spesso imposto. Sono poi noti i divieti rivolti soprattutto ai religiosi perché evitassero ogni commercio carnale. Insomma un immenso ostracismo durato millenni.
E non si può dire che non fosse motivato, dunque; anzi in modo così palese che perfino la filosofia ha preso spesso le distanze dalle donne. La misoginia è una caratteristica di alcuni dei più grandi filosofi, di Kant, Hegel, Schopenhauer e molti altri.
A voler ora soffermarci sulla prima parte del cammino, la discesa o la caduta e solo su quella, con la salita o la salvezza che giungono da altre fonti − dalla fede, da un Salvatore e per grazia divina −, è evidente che per la donna c’è solo la colpa, ed è quanto è accaduto finora, con la condanna impartita spesse volte anche dalla filosofia, vale a dire dal massimo tribunale della ragione.

Invece ecco un’altra sorpresa rappresentata dai versi sette, otto e nove. Se è vero che c’è stata e c’è caduta, solo “le ripetizioni instancabili della vita” ci hanno permesso di affrancarci dagli eterni giri dell’“eterno ritorno”, che Nietzsche ha chiamato “il peso più grande”. Provando e riprovando è nata la scienza del ritorno, oltre a quella esatta della natura, ed è diventato visibile il nascosto dopo che una Porta s’è aperta sul cerchio per lasciarci passare e qualcuno è anche uscito. Cosa che il Patto ora presenta come una possibilità alla portata di tutti; anzi come una presenza, pressoché sconosciuta finora perché esso non è stato ancora presentato, ma che diverrà “vera”, “reale”, come si afferma che sono le scoperte scientifiche, appena si comincerà a firmarlo in molti.

16.

Il Riscatto completo della donna
come molla e genitrice degli eterni giri
in questa prima linea che è la vita umana,
ci sarà quando l’esistenza nostra non apparirà più
un continuo ritorno dal misterioso
e inesplorato dominio della morte
senza che nulla rimanga del passato,
ma ci sarà vittoria e conquista.
Fino a quel momento l’ingresso nel suo ventre
e ciò che segue è una caduta
e uscire da esso per salire
una sconfitta annunciata
un’altra bocciatura all’ultimo esame.

Il completo riscatto della donna comincia dunque con la scoperta che dalle cieche ripetizioni si può uscire. Comincia quando la via che scende e quella che sale sono una sola perché coincidono, come ha affermato Eraclito più di venticinque secoli fa.
Per lui naturalmente non si trattava di una pura e semplice constatazione, ma di un esempio di opposti, assieme ad altri, della loro coincidenza, e della comprensione di tutto ciò. E la totalità di essi era Dio: “Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta ormai come (il fuoco) quando si mescola ai profumi e prende il nome di ognuno di essi”. Oppure Dio si può ravvisare nella coincidenza dei due opposti estremi: l’essere e il non essere dove tutti gli altri sono iscritti.
Dunque non ci sono due vie: quella che scende diversa da quella che sale e la prima come caduta, come immissione nella materia, era addebitata alla donna, e la seconda come salita fino alle regioni celesti era accreditata a Dio. Se le due sono una sola, allora c’è anche un solo custode dove inizia e dove finisce e c’è l’uscita, perché anche questi due termini sono uno solo. D’altronde non è pur vero che anche nella donna dove si entra anche si esce, e l’uscita è nella luce!
Prevedo l’obiezione: sempre di un mondo materiale si tratta, dall’interno di un corpo si esce in uno spazio fisico che ne contiene innumerevoli, dove la vita si svolge nei modi già detti finché non si arriva alla tomba. D’accordo, ma è per questo che si prova e si riprova finché non si trova l’ostacolo più grande e lo si supera, ciò che è ormai il nuovo patto d’amore, con uomo e donna nella veste di opposti coincidenti. Finché non si giungeva a questa scoperta c’era caduta, sconfitta, c’era la bocciatura all’esame finale e la ripetizione del corso precedente.
Rimane tuttavia qualcosa di non ancora sondato in questo dire, a meno che non ci riesca a farlo ora. Il ragionamento suona così: si prova e si riprova quando si ha almeno l’idea di dove si vuole arrivare, e non si può certo giurare che ci fosse quella della coincidenza degli opposti, anche se vaga e lontana, in tutti quelli che hanno fatto all’amore nei secoli e millenni trascorsi per avere figli. Perché allora questo nascere per morire? Perché amore e morte stanno assieme è la risposta, e la seconda è così collegata che a volte appare perfino desiderabile quando il primo si dibatte in grandi difficoltà. E d’altronde non sono anch’essi due opposti che si cercano e si completano a vicenda? Allora ecco la soluzione dell’enigma: amore e morte sono gli opposti, non presenti nel campo della conoscenza chiara e distinta, la cui segreta coincidenza ha anticipato quella d’uomo e donna come ora si sta mostrando nel Patto.
Saranno perciò sostituiti da questa nuova visione? Certamente no. L’uomo e la donna c’erano già in amore e morte e c’era già il sentimento dell’eternità dell’amore e perciò del superamento della morte. Moriamo assieme per risorgere a vita eterna, dicevano gli amanti cui non era dato di rimanere uniti in questa dimensione. Perciò il nuovo patto d’amore nulla toglie all’antica e sempre viva coincidenza di amore e morte ma soltanto aggiunge e perfeziona: dimostra che non era infondato il sentimento antico.
Comunque, non soltanto nell’impresa d’amore, amore e morte stanno assieme, ma anche in ogni altra qui sulla terra che ha contato e conta. Com’è accaduto agli eroi antichi, le cui imprese più grandi sono state il superamento del lato oscuro, o almeno il coraggio di affrontarlo e i tentativi compiuti.
Gilgamesh ha tentato il superamento delle “acque di morte” per scoprire dov’era stato portato l’amico Enkidu rapito dalla morte, ma non è riuscito nell’impresa.
Ercole montò sulla barca di Caronte, il nocchiero della livida palude formata dal fiume Stige, deciso ad attraversare quel pelago per entrare nell’Averno e catturare Cerbero, il cane trifauce di Ades dio dei morti, e la sua impresa fu coronata dal successo.
Enea, il fondatore di Roma, è disceso nell’Averno, attraverso lo spaventoso fiume dei morti, per parlare con l’ombra del proprio padre Anchise, per conoscere da lui il destino delle anime, il destino di Roma, ch’egli stava per fondare, “e in qual modo egli avrebbe potuto evitare o sopportare qualsiasi fardello”. Poi, attraverso la porta d’avorio, fece ritorno ai compiti che lo attendevano nel mondo.
Così alcune delle grandi avventure antiche ed oggi, come allora, la sfida alla morte ancora continua nelle imprese più grandi dei nostri giorni: quelle che portano dei solitari sulle cime più alte, nei luoghi più inospitali per attraversarli: oceani, deserti, ghiacci dei poli, oggi anche gli spazi dei pianeti e delle stelle per raggiungerle. E il motivo è sempre lo stesso: aggirare la morte, o aspetti di essa, per collegarla alla vita nel circolo morte-vita, una delle coincidenze più importanti.

17.

Per chi aspirava all’Uno, a Dio,
all’Atman, al Nirvana, al Pleroma,
era naturale addebitare alla donna la caduta
negli immutabili giri della natura
e quella colpa non è ancora cancellata.
Solo se si esce dagli eterni giri
ci sarà completa riabilitazione.

Perché la via carnale non portava fino al cielo, era caduta e peccato cominciarla e la colpa era attribuita alla donna, spesso in modo diretto e palese. E i giudici di quei tribunali condannavano e venivano eseguite le sentenze. Ancor oggi è così anche se in misura minore, perché sono mutati i rapporti di forza e di potere delle parti. Ma c’è ancora l’ignoranza della causa, quella di cui si sta occupando il Patto, perché la causa è la metà nascosta e sconosciuta che l’altra metà, che si trova nella luce del sole e della coscienza, si porta appresso, come il volto la nuca, come il petto la schiena, come la veglia il sonno. Da ciò derivano tutti i guai, le miserie, i peccati e soprattutto l’interruzione della via che sale in alto.
Se solo ora il Patto apre in modo chiaro e distinto a questa conoscenza, ci sono stati però dei precedenti. Sono i grandi amori e in essi è la donna che salva.
È Beatrice che salva Dante: per rivederla lui attraversa l’Inferno e il Purgatorio e arriva in Paradiso.
È Margherita che salva Faust. È lei che lo trattiene dalla caduta nella perdizione e l’accompagna per la via che porta in Cielo.
Ecco cosa sono i grandi amori: anticipazioni della strada che continua e dell’abisso che viene superato.

18.

Sto occupandomi della metà nascosta
e della coincidenza con quella che appare,
quindi anche di voi
carissime compagne di viaggio
che di tutti gli aspetti di essa
siete il più vicino e affascinante,
come il cielo stellato della notte,
e l’aurora alla fine del viaggio

L’abbiamo già trattato quest’argomento che costituisce il tema della diciottesima frase, perché sono già passati sotto i nostri occhi versi simili, ma ritornarci non sarà una pura e semplice ripetizione. L’argomento è il patto d’amore fra uomo e donna, il quale però è soltanto uno degli aspetti di una più vasta e profonda unità che si chiama coincidenza di tutti gli opposti. Perciò occuparsi di uno di loro significa aprire a tutti: all’ignoto opposto al noto, al male contrario del bene, al nulla che per molti filosofi e mistici e l’altra faccia di Dio. Eccetera, eccetera.
Perciò − e i versi sono chiari in proposito, parlano delle due metà più vicine −, il nuovo patto d’amore s’inserisce in un contesto ben più vasto, da cui anzi non rimane fuori nulla, vale a dire neppure il nulla come si è visto specialmente nella sesta frase. Ma in tal modo s’invadono i campi della filosofia, della sapienza, della religione, cose vaghe e lontane, spesso inafferrabili. Qui invece solo quello dell’amore, o esso in misura prevalente, e il suo oggetto è vicino, afferrabile, si prende, si stringe, si accarezza, si bacia, si penetra: di tanto è la più cercata fra gli opposti, di tanto è la più adatta in questo progetto d’unità!
Si può perciò affermare che si comincia dalla coppia d’opposti uomo donna, e poi anche gli altri ci saranno dati, anche il Regno dei Cieli che è il tempo e il luogo dell’unità completa e totale. E questa non è neppure un’idea che nasce ora ma ha origini antiche e antiche manifestazioni.
Nel Vangelo secondo l’apostolo Tommaso, che Gesù stesso chiamò “didimo”, cioè “gemello”, è detto: “E quando farete del maschio e della femmina una cosa sola in modo che il maschio non sia più maschio e la femmina non sia più femmina…, allora entrerete nel regno”.
Si legge nello Zohar ebraico che “ogni anima e ogni spirito, prima di penetrare in questo mondo, è composto da un maschio e una femmina uniti in un solo essere. Quando discende su questa terra, le due parti si separano e si animano in due corpi diversi. Al momento del matrimonio, il Santo, li unisce di nuovo come prima, e di nuovo essi costituiscono un solo corpo e una sola anima, formando così la destra e la sinistra di un individuo… Questa unione, tuttavia, è influenzata dalle azioni dell’uomo e dal modo in cui si comporta. Se l’uomo è puro e la sua azione è gradita a Dio, egli viene unito alla parte femminile della sua anima, che faceva parte di lui prima della nascita”.
In un frammento da un testo apocrifo, chiamato Il vangelo degli Egizi, conservato da Clemente Alessandrino è affermato che il Redentore, interrogato su quando sarebbe venuto il Suo regno, ha risposto: “Quando quei due (maschio e femmina) saranno uno solo, nell’esterno come nell’interno, e il maschio con la femmina non sarà né maschio né femmina”.
Alla fine dei tempi – questi che stiamo vivendo −, per Paolo di Tarso ci sarà la riconciliazione dei contrari: “Non vi è né schiavo né uomo libero, né uomo né donna”.
Nel Vangelo apocrifo di Filippo sta scritto: “Grande è il mistero del matrimonio! Perché senza di esso il mondo non sarebbe esistito. Ora, l’esistenza del mondo dipende dall’uomo, e l’esistenza dell’uomo dal matrimonio”. Dove matrimonio è uno dei nomi della coincidenza degli opposti.
Il profeta Maometto ha affermato che se si vuole davvero avvicinarsi alla vera religione, si deve prendere almeno metà della scienza religiosa da Aisha sua moglie.
Qui emerge un aspetto donna ben diverso da quello ufficiale ancora in auge nelle religioni dominanti in Occidente: l’aspetto dell’unità uomo donna e perciò quello della coincidenza degli opposti. Un aspetto che è stato offuscato nel lungo periodo in cui la ragione, usata soprattutto dall’uomo, ha dominato, come il giorno del sole la notte, e la ragione ha esteso la sua influenza anche sulle religioni che con essa hanno dovuto fare i conti e mettersi d’accordo.
Il finale di questa diciottesima frase è un inno alla bellezza femminile. Se il giorno è la luce del sole cui è paragonata la ragione, ma è solo quella di una stella, voi donne − canta il verso − siete lo splendore di tutte perché soprattutto vostro è il cielo della notte. E siete anche la fine del viaggio e la bellezza che appare nell’uscita.

19.

Raggiunta la Coincidenza degli Opposti
la metà nascosta si manifesta
e quella più vicina è la donna.
È con te, sei tu, e non si perde.
Diventa inesauribile l’amore.

È detto ancora una volta con chiarezza: quando si raggiunge la coincidenza degli opposti, quella di uomo e donna è soltanto la più vicina e si può estendere l’idea a tutte le metà di questo mondo. A veglia sonno, conscio inconscio, vita morte, ecc. Non c’è più modo di separarle, o meglio non si può fare a meno di tale conoscenza che è quella dell’essere, anche se si può sempre interpretare la parte del distinto e limitato in questo teatro che chiamiamo Terra, e domani forse sui pianeti di altre stelle. Ma è come se a quel punto la parte l’interpretasse l’autore di tutta l’opera. Anzi non si potrebbe fare a meno d’essere anche attori o solo comparse, perché gli occhi vedono solo metà, le mani le toccano, le orecchie le sentono, i nasi le odorano, le bocca le bacia. Perciò non esiste più il problema che ha tanto impegnato e affaticato il misticismo d’ogni tempo e d’ogni luogo: quello dell’identità personale o della sua scomparsa quando essa si fonde con la divinità. Detto con altre parole: c’è ancora l’Io quando avviene la fusione oppure solo Dio, perché il primo si perde come la goccia d’acqua nel mare, come il raggio di luce nel sole? Ancora la coscienza singola o solo quella universale che assomiglia tanto all’inconscio collettivo? Le risposte che sono state date dai diretti interessati sono molte ma contraddittorie, dipendono dalle singole esperienze vissute. Ne ricordiamo alcune.
Per il Buddhismo c’è lo spegnimento nel nirvana − da nirva che significa spegnere. Ma c’è anche il Buddha che ritorna − il Bodhisattva −, per aiutare quelli che si sono persi nel mondo a trovare la strada per salire.
Per molti mistici dell’Occidente e dell’Oriente c’era e c’è l’estasi, che significa entrare in Dio per perdersi in lui, ma per altri ciò non vuol dire il completo smarrimento della propria personalità.
Un esempio del primo caso è Caterina da Genova che ha detto: “Io non mi quieterò fino a tanto che io sia serrato e rinchiuso in quel divino petto, dove si perdono tutte le forme create, e così perdute restano poi divine…”.
Oppure quello di Anna Kaharina Emmerch che descrive il momento del passaggio da questa dimensione all’altra. “Da alcuni giorni oscillo di continuo tra visione sensibile e visione soprannaturale. Mi devo fare molto coraggio, perché, nel bel mezzo di un discorso con gli altri, vedo contemporaneamente davanti a me altre cose e altre immagini, e poi ascolto le mie parole, nonché quelle del mio interlocutore, come se provenissero da un recipiente cavo, tetro e grossolano. Io mi sento come se fossi ubriaca e stessi per crollare. Le parole che rivolgo alle persone che parlano con me escono pacatamente dalle mie labbra e sono spesso più vivaci del solito, senza che io sappia quello che ho detto, benché mi esprima con estrema coerenza. Devo mantenermi in questo doppio stato, ma non ci riesco se non con fatica. Vedo ciò che mi sta di fronte con gli occhi spenti, come uno che dorma e che stia cominciando a sognare. La seconda visione mi trascina a sé con violenza ed è più nitida della visione naturale; ma non avviene per il tramite degli occhi”.
Un terzo esempio è quello di Lao-tzu che ha parlato di sé come di uno che si sta allontanando e perdendo. “Dopo tre giorni la separazione delle cose aveva cessato di esistere per lui. Dopo sette giorni l’esterno aveva cessato di esistere per lui. Dopo nove giorni, egli uscì dal suo proprio essere. Poi il suo spirito fu radioso come il mattino ed egli contemplò l’essenza, il suo io, faccia a faccia. Quando ebbe visto, si fece senza passato e senza presente. Finalmente entrò nel regno dove morte e vita non esistono più, dove si può uccidere la vita senza dare la morte, e generare senza dare la vita”.
Oppure quello di Hierotheos che ha detto: “Mi sembra giusto dire senza parole e capire senza conoscere ciò che è al di sopra delle parole e della conoscenza: il che, ritengo, non è nient’altro che il segreto tacere e la mistica quiete che annulla la coscienza e dissolve le forme. Quindi, nel silenzio e nel segreto, cerca l’unione compiuta e originaria con il bene essenziale e primigenio”.
Ci sono stati invece altri mistici per i quali entrare in Dio non significa l’annullamento di se stessi per diventare Lui solo. Un esempio è Meister Eckhart che ha affermato: “Se io non fossi io come creatura, nemmeno Dio sarebbe Dio”, perché di per sé egli è deserto, radice, solitudine, tenebra silenziosa, intimità nascosta… vale a dire il nulla, negazione della negazione. Similmente ha detto Angelus Silesius nel suo nel Pellegrino cherubico: “So che senza di me Dio non può un istante vivere: se io divento nulla, deve di necessità morire”.
Di fronte a queste risposte che confermano le due differenti visioni esistenti nel linguaggio, quella comune e quella dei mistici e sapienti, c’è la terza del Patto, dove le altre sono contemporaneamente assieme e divise, e l’aspetto manifesto dipende dalla parte che si sta interpretando e quindi anche dalla scena allestita per essa; e quando uno appare l’altro è fra le quinte, prima e dopo l’uscita dalla scena. Una soluzione che non è la prima volta che viene indicata. Si tocca perfino il mistero dell’Unità e Trinità in questo dire, perché si svela ciò che non poteva non esistere anche nell’umano se è vero, come afferma la religione, che siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio. Si svela cioè l’aspetto che è giunto alla manifestazione in questo Patto: il tutto in una volta d’uomo, donna e unità dei due. In una sola visione, dunque, in un solo nodo.
Insomma è come se in questa prima e fondamentale coincidenza degli opposti Dio si palesasse, come se il suo volto avesse meno segreti, o come se un segreto fosse svelato per intero almeno in un suo stadio, quello dell’amore uomo donna. Il volto che così s’è manifestato è dunque quello umano, uno e triplice, di cui c’è qualche scultura antica. Quella di Giano, per esempio, che è volto maschile, volto femminile e unità dei due.

20.

Il nuovo essere,
quello che nasce al termine della gravidanza
ha avuto come inizio l’unione
del femminile – la cellula –
con il maschile – lo spermatozoo,
e non si può certo pensare
che quel che è avvenuto in quella fusione
non sia l’una e l’altra cosa assieme anche ora.
Vale a dire l’uomo è uomo-donna
e la donna donna-uomo.
Solo che nel regno delle metà contrapposte
dove si trovano i nati in quel modo
appare prevalentemente una parte soltanto
e l’altra è la metà oscura.

La ventesima frase è una variazione sul tema della faccia nota e di quell’ignota presenti nello stesso individuo. Ribadisce cioè che quel che è nato e nasce da uomo e donna, dove ognuna delle parti ha contribuito in modo determinante al risultato, non può essere solo uomo o solo donna. In altre parole, quel che giunge nel mondo delle apparenze, uomo o donna, è anche segretamente donna o uomo.
Per la dimostrazione di quest’assunto si torna all’origine, a come l’uno o l’altra sono stati concepiti: dall’unione di una cellula con uno spermatozoo che si sono fusi. Se questo è stato l’inizio, come si può pensare ora che il risultato che si vede e si tocca sia un’altra cosa, vale a dire solo uomo o solo donna? Perciò, allora, soltanto l’apparenza ha una sola faccia e l’altra non si vede. Ragionamento che non fa una grinza anche sotto l’aspetto razionale e come tale la frase trova qui il suo posto, anche se potrebbe sembrare superflua.
A questo punto però stiamo insinuando dubbi e perplessità su ciò che sembrava stabilito una volta per sempre: la chiara e netta divisione dei sessi e le parti distinte e separate che uomo e donna svolgono nell’ambito della famiglia e della società, e sono i dubbi e perplessità che alla fine mettono in crisi le consuetudini e i sistemi esistenti, perfino le verità su cui ci siamo a lungo sostenuti. Visti in questo modo, si sarebbe perciò dei distruttori. Ma non è proprio il caso di dolerci e di intonare il mea culpa, se non vogliamo passare anche noi per collaboratori del nichilismo esistente e dilagante, vale a dire essere suoi complici. Perché davvero non lo siamo. Più delle parole sono ormai le cose stesse che stanno prendendo posizione, vogliamo dire anche contro le antiche idee che abbiamo di esse e indipendentemente da quelle che stanno apparendo in questo Patto. Perché la donna si è messa i pantaloni e l’uomo la sottana molto prima che queste cose fossero dette e scritte. Il femminile sta sfumando sempre più nel maschile e viceversa come un destino, e si arriva oggi a non riuscire più a distinguere. Anzi è certamente un destino, e noi siamo qui ad esprimere, per quanto è possibile, soltanto il suo significato e la sua direzione, e ad indicare la parte costruttiva che viene dopo quella distruttiva, come nell’Apocalisse, e non certamente per prendere il posto del dio che lascia e che dispone – qualunque egli sia. Semmai a seguirlo fin dove ci riesce, interpretando e collaborando.
Basti pensare che da questa tappa dove siamo giunti, circa un secolo fa, vale a dire dal nichilismo diventato condizione normale, quindi dalla profonda trasformazione che come un destino sta avvenendo nell’uomo e nella donna, è ripresa l’avventura nella metà nascosta dopo una lunga sosta. Un’avventura che nel suo complesso, come si è visto, è iniziata circa ventisei secoli fa e aveva come motto “conosci te stesso”. Perciò come potremmo essere noi i primi su questa via? Solo i continuatori, questo sì, e coloro che dalla posizione raggiunta hanno visto avanti e si sono anche voltati per cogliere in un solo sguardo l’intero percorso, come si capirà meglio nelle pagine seguenti, specialmente nel capitolo trentuno. Un cammino che si è svolto prima nella metà maschile e poi in quella femminile che contiene le profondità più oscure e misteriose e dove ancora la stragrande maggioranza è accampata. Poi c’è stata un’avanguardia che è uscita ed almeno uno ha attraversato anche la seconda metà e sta scrivendo questo Patto.

21.

Noi siamo nel campo della manifestazione
nella luce del sole e delle stelle
ciò che cellula e spermatozoo
sono nell’interno dei corpi.
Come quei due siamo divisi e separati
in uomini e donne,
come quei due siamo delle metà
senza senso e senza continuità
se non si realizza l’unità
tanto vagheggiata.

La ventunesima frase inizia con un confronto fra due coppie: la cellula e lo spermatozoo esistenti all’interno dei corpi e l’uomo e la donna che vivono nell’aperta luce del sole e delle stelle, ma pur sempre dentro un mondo “fisico” come normalmente si dice. Ma perché un confronto? Perché hanno molto in comune, dicono i versi, infatti gli uni in tutti i sensi sono i primordi degli altri.
Il confronto si sofferma soprattutto sulle due coppie di metà: spermatozoo e cellula, uomo e donna, per concludere che ambedue così distinte e staccate sono “senza senso e senza continuità”. Il senza senso è ben noto al livello di uomo e donna ed è arguibile dalla formula classica con cui ci qualifichiamo: non si sa da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo.
A meno che non si realizzi l’unità tanto vagheggiata, dicono gli ultimi due versi. Ed ecco, allora, che viene avanti il senso del confronto fra le coppie suddette e il perché esso è stato posto. Perché, una volta stabilita la corrispondenza, della prima coppia conosciamo cose che della seconda invece ignoriamo. Sappiamo che la prima raggiunge l’unità e perciò anche il suo senso: è l’essere che poi diventa uomo o donna durante lo sviluppo e uscendo dalla dimensione dove si è formato.
Il confronto ci insegna allora sempre più apertamente che simile a quello che vediamo da fuori a livello microscopico, e lo vediamo perché da esso siamo usciti e siamo altro da loro, è l’ulteriore procedere nella vita. Non tanto verso la fusione d’uomo e donna come accade a spermatozoo e cellula, perché l’uno e l’altra spariscono in un’unità che è un’altra cosa, perché essa sia pure in modo precario e temporaneo viene raggiunta con i metodi del sesso e dell’amore, ma verso la comprensione di tutto ciò, che poi è il Patto che qui stiamo predisponendo. Poi chi lo firmerà entrerà direttamente in gioco e punterà alla meta prevista.
Essa appare sempre più chiara è distinta: è l’uomo nuovo e la donna nuova la meta, così come uomo e donna sono invece i risultati della precedente unità di spermatozoo e cellula.
Così come vediamo saremo anche visti
da chi di noi si forma ed esce, e ci sono già la visione razionale e soprattutto quella intellettuale che colgono il mondo come coincidenza degli opposti, ma finora è cosa eccezionale e limitata.
Riassumiamo in una proporzione di tipo matematico il senso che abbiamo dato alla ventunesima frase. Come cellula e spermatozoo fondendosi danno vita ad un uomo o una donna di tanto superiori ai due elementi originari, così uomo e donna unendosi indissolubilmente nell’amore formano un’unità di tanto superiore all’uno o all’altra divisi e separati. L’unità è l’uomo nuovo di cui parlano anche i miti e le religioni, e la nuova terra e nuovo cielo è la sua abitazione.

22.

Se si costituisce l’unità,
finiscono – muoiano –
le metà che l’hanno originata.
Perciò l’amore è legato alla morte,
perciò non c’è mai l’uno senza l’altra.

Il caso normale e generale di morte delle metà che generano l’intero è quello della cellula femminile e dello spermatozoo. Quando s’incontrano e fondono, le due parti non ci sono più. Muoiono, dice il verso, e vive il risultato, e il verso dice quel che avviene davvero nelle misteriose profondità dell’inizio. Ma quanto accade a quel livello estremo vale anche, in un certo modo, per l’uomo e la donna che si sono congiunti e per il figlio che nasce da quell’unione. Anch’egli, normalmente, sopravvive ai genitori ed è sempre motivo di gran pena e dolore per chi rimane quando accade il contrario. Vorrebbero quei sopravvissuti − così si considerano − scambiare le parti, vita con morte, e partirebbero per la grande tenebra senza paura. “Perciò − dice il quarto verso − l’amore è legato alla morte”. “Perciò non c’è mai l’uno senza l’altra”. Tuttavia amore e morte sono scanditi da tempi diversi nel mondo microscopico e in quello degli umani usciti dal grembo materno. Nel primo c’è quasi contemporaneità fra morte e vita, mentre nell’altro esiste un intervallo. Questo però vale solo in superficie perché nel profondo i genitori non vorrebbero durare di più dei figli, perché gli amanti allacciandosi e penetrandosi si sentono morire, e se qualcuno vuole separarli piuttosto si danno la morte assieme, e diventa il morire della morte quell’amore perché non viene più dimenticato.
Non c’è trionfo della morte sull’amore se si costituisce l’unità, né quando la si affronta assieme anche se il risultato è la perdita delle vite separate.

23.

La morte è la negazione
dell’essere individuale incompleto,
uomo e donna, ognuno una metà.
Allora uniamoci per superarla
dicono i due e c’è un metodo:
la coincidenza degli opposti.

Leggendo questa frase, sembra che la morte tanto temuta e sofferta per davvero non ci sia, ma che il suo posto sia occupato solo dall’essere individuale incompleto, il quale non può rimanere alla ribalta più di tanto. Perciò la sottintende fin dalla nascita ed è l’altro estremo della vita. La morte sta in quel limite ed è l’uscita da esso. Rimarrebbe saldo l’Io se raggiungesse l’unità, ma non è facile arrivarci perché è la coincidenza degli opposti, ed essa è la continuazione del cammino nell’oscurità e nel mistero − nella Notte come ormai qui si dice −, finché non si arriva alla fine che s’incontra con l’inizio e con esso coincide, come sempre accade in un circolo dove ogni suo punto è contemporaneamente le due cose assieme. Nel caso in considerazione, poi, quel punto si trova in una posizione particolare: è la fine della Notte e l’inizio del Giorno. Finora al risultato appena esposto l’uomo e la donna sono arrivati e arrivano in modo incompleto e provvisorio, seguendo metodi che essi non conoscono e non dominano, o solo in momenti eccezionali: col sentimento dell’amore o percorrendo la via del misticismo. Ecco perché il loro stato normale è solo apparente, vale a dire c’è e non c’è e in ogni modo più di tanto non rimane. È quel che gli orientali chiamano “samsâra” e gli occidentali “rappresentazione del soggetto conoscente” − o mondo ordito dai sensi e dalle forme della mente −, ed è sempre in bilico e termina con le continue sparizioni nell’abisso. Il quale, come dice una frase che abbiamo già commentato − la terza −, non è fuori di noi ma in noi e il suo superamento è la coincidenza degli opposti.

[3/5 – Continua]

Il nuovo patto d’amore

30 novembre 2010

Il nuovo patto d’amore, fondato sulla coincidenza degli opposti (2/5)

Leggi i capitoli 1-7

 

Edvard Munch, Il bacio con la finestra (1892)

8.

Il metodo raggiunto fino ad un certo punto
è quello in uso:
amore, congiunzione fisica, famiglia,
nascita, allevamento, sviluppo nella propria civiltà.
Ma ora c’è qualcosa che s’aggiunge: la continuità.
Le vite già vissute si saldano fra loro
come le perle di una collana,
come i giorni di una vita interrotti dalle notti,
o le veglie dai sonni.
Diventano Risvegli i misteriosi ritorni
dall’indistinto e indeterminato.

 

Lungo una via delle vicine montagne c’è il Passo della morte, una lunga galleria che supera un abisso. In tal modo chi giunge sul ciglio non precipita e può attraversarlo e continuare al di là.
Anche seguendo il cammino della vita si arriva al passo estremo, finora insuperato dal singolo, o esistono soltanto poche eccezioni che confermano la regola. Lo supera invece la specie nel modo che si sa: passando per il grembo materno e poi nella luce della civiltà, e in tal modo la vita qui sulla terra continua. Perciò il grembo materno e la civiltà sono ponti, gallerie, che attraversano la morte e la vita, e ciò è detto nei primi quattro versi. Ma questo in generale, dunque, non in particolare, non come qualcosa che riguarda esclusivamente il singolo e interessa a lui solo.
Ma ora c’è qualcosa che s’aggiunge, recita il quinto verso: s’aggiunge alla vita singola com’è finora, che arriva fin sul ciglio, non può più continuare e precipita. Cosa s’aggiunge? “La continuità” del cammino, dice il verso, che era fermo sul ciglio dell’abisso. Perciò il superamento del passo della morte.
I versi successivi dicono come questo avviene o può avvenire: collegando le vite già vissute con la presente e con quelle che verranno, come le perle di una collana in corso di composizione. C’è già un precedente − dicono i versi successivi: i giorni d’ogni singola vita, interrotti dalle notti e dal sonno ma non cancellati, che si presentano alla memoria appena svegli.
Una bella differenza, si dirà, perché il sonno è superabile ed è continuamente attraversato e la morte no. Solo a lei, infatti, s’addice in pieno la parola a-bisso, che significa senza fondo, dove la caduta perciò è senza fine. Invece no: sono di peso molto differente ma della stessa natura, hanno uguale origine, affermano i versi. E così erano anche per gli antichi: Hypnos e Thanatos erano fratelli. O se una differenza si vuol porre è nel colore: la morte è tutta nera e senza sogni, ma ambedue sono la parte ignota della vita.
Anche il Risveglio dalla morte, cosa finora eccezionale, non è come il ritorno dal sonno: infatti, qui lo scriviamo con la maiuscola. Ma non diverso in modo essenziale tuttavia: da uno ci si sveglia dal giorno di vita precedente, dall’altro dalla vita precedente, e le tante vite così collegate vanno a costituire la lunga vita di cui ci ha parlato Lao-tzu nel suo Tao Tê Ching.
Una lunga vita fatta di vite più corte ma tenute insieme dal filo ininterrotto del ricordo, come la singola è fatta di giorni interrotti dal sonno e poi ripresi: ecco a cosa sta portandoci il nuovo patto d’amore.

9.

Esempi di un simile procedere sono già stati:
Il “Risveglio” di Buddha.
l’ingresso nel “Giorno” di Parmenide
che giungeva dalla “Notte”
e ha attraversato la “Porta”
 sul confine fra le due zone.
Il “Ritorno” ad Atene di Ermete Trismegisto,
il tre volte nato in quella città.
I ricordi delle vite precedenti
di Pitagora, Empedocle…

 

Dopo la lunga vita che il Patto stabilisce, ci sono stati dei precedenti ricorda l’ottava frase, anche se eccezionali, perché ci sono sempre le primizie. C’è sempre, come ha detto il poeta, “la primula che sboccia nell’inverno/ in una nicchia volta al sole del gran bosco”.
E la frase in oggetto, infatti, è una breve ma importante elencazione di nascite di tal genere, di chi ha ricordato vite e morti precedenti e si è illuminato. Così, il poeta Asvagosa, il grande biografo di Buddha, ha ricordato il Risveglio del maestro: “E una volta ottenuto il perfetto dominio su tutti i metodi della meditazione, nella prima vigilia gli venne il ricordo delle sue nascite precedenti, l’una dopo l’altra./ Nel tal luogo ero certamente quel tale, e dopo la mia dipartita da lì giunsi al tal altro luogo, pensava; e così richiamava alla memoria migliaia di vite, come rivivendole”. Un Risveglio dalla morte, certamente, vale a dire dal più profondo dell’abisso, perché se fosse stato dal sonno, come comunemente e generalmente accade a tutti i mortali, non ci sarebbe stato bisogno di scriverlo con la maiuscola e di lasciarlo ai posteri come avvenimento eccezionale, e non sarebbe diventato quel faro di luce che ha illuminato e diretto per tanti secoli una notevole parte dell’umanità. Buddha ha insegnato anche il sentiero che conduce dove lui è arrivato.
Un altro ricordato è Parmenide che, giunto dalla Notte, è entrato nel Giorno dopo aver attraversata la Porta che divide la luce dalla tenebra. Sfera dell’Essere ha anche chiamato quel rotondo cielo ed era immutabile ed eterno. Perciò si può affermare che se è entrato in quella dimensione, là si trova ancora quel sapiente. Infatti, dopo un lungo giro e l’arrivo dove coincidono gli opposti l’abbiamo riscoperto e forse è anche lui che scrive questo patto.
Di Ermete Trismegisto basta quanto dicono i versi sei e sette: filosofo in Atene, dopo la terza nascita in quella città ha ricordato le precedenti vite, si è riconosciuto, ha ricuperato il suo vero nome, ed è salito al mondo superiore dove è l’origine. Perché c’è sempre un mutamento di stato quando si arriva a questi Risvegli.
Pitagora ha ricordato d’esser già vissuto sotto le spoglie d’Euforbo, ucciso da Menelao nella guerra troiana.
Empedocle ha detto di se stesso che “un tempo fu fanciullo e fanciulla, arbusto, uccello e muto pesce che salta fuori del mare”. Né egli credeva che uomo e donna fossero soltanto per il tempo di una vita − cioè dalla nascita alla morte −, per poi venire distrutti, ma che esistessero anche “i non nati ancora e quelli che sono già morti”. Per cui uomo e donna presenti, sono gli arrivati nelle luci della ribalta, e gli assenti sono nel retroscena, prima di entrare e dopo l’uscita, ad aspettare il successivo turno nella ruota che gira.

10.

Il viaggio incomincia nel tuo ventre
e finisce nell’abisso.
Poi sono io che l’ho ricongiunto
al punto di partenza,
perché non precipitasse
in quella voragine senza fondo
come è sempre accaduto,
fuorché − si dice − in qualche caso.

 

Sappiamo già dalla terza frase che si comincia da una cellula fecondata da uno spermatozoo e si compie il gran viaggio che ha come tappe fondamentali il venire al mondo, poi l’arrivo nella luce della ragione, quindi l’attraversamento della vita singola e di quella collettiva che si svolge nella società. Per molti, per loro iniziativa e per segreta destinazione, c’è anche il cammino nella storia, quello che una civiltà ha compiuto dal suo inizio fino a dove lo storico si trova, e per alcuni anche il superamento di quel limite nei modi della previsione e dell’anticipazione. Infine per pochissimi c’è anche l’uscita dalla luce razionale nel punto dove essa tramonta nell’inconscio e l’ingresso nella sua notte, volutamente questa volta, per scoprire e per capire. Cosa che è sempre accaduta e sempre accade, vale a dire succede a tutti di partire per destinazione ignota e senza ritorno, ma la stragrande maggioranza l’ha solo subita e continua in tal modo.
Alla fine però, nonostante i volenterosi, gli svegli, i fortunati, si arriva ineluttabilmente sulla sponda dell’abisso e la caduta diventa verticale fino a profondità da cui non si risale da soli. Così dicono i versi uno e due. Ma a quel punto succede qualcosa di assolutamente nuovo: il precipitare sembra che venga interrotto, deviato e riportato all’origine, quindi all’altro estremo dell’abisso. Così affermano i versi che seguono.
Dunque il cammino fin qui descritto, illustrato anche nella terza frase e là commentato, anziché terminare e cadere come un filo non più trattenuto, giunto ad un certo punto di profondità viene invece raccolto e congiunto all’inizio. Si tratta della traccia di quel ponte di cui ci sono già dei cenni in precedenza, e quest’intervento è opera maschile. Sono io, dice l’uomo alla sua metà nascosta che sta ormai acquistando un nome e un aspetto, che riprendo il filo del viaggio iniziato nell’oscurità e nel segreto del tuo corpo e che si è svolto nel modo che si è detto. Sono io che consapevolmente ora lo porto fino all’altra sponda, quella dove è iniziato, illuminando con la conoscenza le tenebre e il mistero.
Si può facilmente arguire, giunti a questo punto, che, oltre a quello nuovo di cui si sta ora discorrendo, esiste un altro cammino oscuro: quello nel corpo materno, che a differenza di quest’ultimo viene percorso inconsapevolmente, e che perciò dell’abisso c’è già stato superamento. Oppure i due sono uno solo, ma ora il condotto tenebroso e misterioso viene illuminato dalla coscienza.
È la donna, dunque, il ponte antico e l’antico attraversamento sempre in funzione e continuamente usato. Ma si tratta di una struttura costruita dalla natura per far passare la specie e non il singolo individuo. Anzi di simili passaggi, oltre a quello nella donna, ce ne sono molti e di ognuno innumerevoli copie: negli animali, nella terra, negli spazi siderali dove si originano le stelle e i pianeti. Dove però chi passa, passa perché gettato e spinto, a sua completa insaputa, e perciò chi arriva non sa da dove. Ed è, allora, per por fine a quest’ignoranza che il nuovo passaggio sta sorgendo ad un livello superiore, da dove già si domina l’altro, e tale conoscenza è la risposta alle eterne domande: da dove vieni, chi sei, dove vai.
Terminiamo con una riflessione su quel che abbiamo appena esposto: se ciò che qui sta svolgendosi è il tracciato dell’ultimo ponte ed è opera maschile, il precedente più vicino e che di più gli assomiglia è, dunque, nella donna, è la donna. Un ponte antico in lei ed ora uno nuovo in lui. In lei nel ventre, in lui nella testa per ora. Oppure, lo ripetiamo, si tratta dello stesso passaggio che diventa luminoso. Ecco perciò un altro aspetto della coincidenza degli opposti, ecco un nuovo segnale della loro sostanziale identità. C’è addirittura lo scambio delle parti a questo punto e appare in modo chiaro e distinto che è necessario attraversare entrambi i passi, quello della vita e quello della conoscenza, o lo stesso in due modi diversi − inconsapevolmente e consapevolmente − per riuscire ad arrivare all’unità immutabile ed eterna.
L’ultimo verso afferma che non è la prima volta che l’abisso viene superato da un singolo vivente in questi due modi, vale a dire da uno che giungendo in queste plaghe, riservate alle metà distinte e contrapposte e perciò destinate alla scomparsa, afferma di esserci già stato. Questi casi sono noti e non c’è da dubitare della buona fede di chi li ha raccontati e lasciati in eredità. Di alcuni abbiamo già parlato e forse ritorneremo sull’argomento.

11.

Il segreto è tutto lì, dentro il tuo grembo,
e nella bellezza che si coglie nell’uscita.
Quella tua, voglio dire, la più grande,
il tuo volto che appare a chi da te spunta.
A me, invece, è stato ordinato
di decifrare il tuo segreto.

“Dove c’è il più bello che si mostra/ gli è accanto il più profondo che contiene la sua radice”, canta Hölderlin in una sua poesia. Similmente il punto più oscuro della notte è il più vicino all’alba, la montagna più alta affiora dalla fossa più profonda, la vela più esposta ai venti ha la chiglia di deriva più penetrante. E cosa c’è di più abissale di un ventre di donna se lì si annida l’origine della vita! Perciò la sua bellezza è la più grande: quella che vede il bambino quando esce, quella che attira e spinge l’uomo a penetrarla.
E mi pare che non finiranno ingressi e uscite anche quando la coincidenza degli opposti sarà raggiunta. Mi pare che l’Uno, il prossimo Signore della Terra, non rinuncerà ad apparire nei due modi e perfino alla divisione in due, per continuare a vedersi anche a faccia a faccia, com’è già avvenuto d’altronde in Cielo.
Nel pantheon indiano incontriamo Mitravarunau, cioè “Mitra e Varuna” insieme, simbolo della divinità “totale”, in cui sono compresi i due “aspetti” della divinità: manifestato e non manifestato, luce e tenebra, visibile e non visibile, ecc. Ma i due sono anche separati, e perciò appaiono anche divise le due facce e con loro luce e tenebra, ecc., come sempre accade nel mondo delle metà contrapposte. Oppure ci sono i due “aspetti” del Brahman, apara e para, cioè inferiore e superiore, visibile e invisibile.
Nel Buddhismo, Mâra, la Morte, è anche Kâma, l’Eros, vale a dire lo Spirito della Vita.
Il dio del tempo illimitato degli Iranici, Zurvan, che gli storici greci traducevano con Cronos, era anche lui androgino. Da Zurvan sono poi nati i due fratelli gemelli, Ohrmazd e Ahriman, rispettivamente il dio della luce e quello delle tenebre, che perciò hanno la stessa origine. Gli dèi che le simboleggiano lo fanno intendere chiaramente: l’una e l’altra sono solo gli aspetti consecutivi della stessa realtà. Per chi le osserva isolatamente, sembrano essere separate e in conflitto, ma il sapiente coglie la loro origine comune, anzi un solo medesimo essere, visto sotto il duplice aspetto di manifestato e non manifestato.
Ermete affermò che tutti gli esseri, sia animali sia non animali, hanno i due sessi, e per questo ritenne che la causa di tutte le cose (cioè Dio) complicasse in sé il sesso maschile e quello femminile, di cui egli credeva che Cupido e Venere fossero l’esplicazione. E Valerio Romano sostenendo il medesimo principio, cantava Giove onnipotente come Dio genitore e genitrice.
Anche il Dio dei cristiani è padre e madre assieme. L’hanno detto in molti, ultimamente anche Papa Luciani nel suo pur brevissimo pontificato e l’attuale Giovanni Paolo II. E se è anche madre, non è solo altezza ma anche abisso, non solo luce ma anche tenebra, come ben hanno saputo Giovanni della Croce e altri mistici.
Nella mitologia greca c’è Giano bifronte e in alcune rappresentazioni una delle due facce è femminile.
Anche il nome di Dio, qualunque sia, è noto e non noto, manifesto e segreto, voce e silenzio. E ciò, naturalmente, nello stesso momento che viene pronunciato, quando sembra esistere soltanto il manifesto. Diciamo nomi di cose, Dio fra esse, che sono come iceberg, nascoste per la maggior parte. Nessun nome è perciò in sé conchiuso ma sempre aperto, sempre da completare. In ogni modo non è mai di più della metà. Se diciamo infinito è anche nulla.
Di tal nome si dice nell’Ermetismo: “Tu, ineffabile, indicibile, tu il cui nome è pronunciato solo dal silenzio”.
Di tal nome si dice nel Taoismo: “Io non ne conosco il (vero) nome, ma lo designo con l’appellativo di ‘via’. Sforzandomi per quanto possibile di definirla con un nome, la chiamo ‘grande’. ‘Grande’ significa procedere, ‘procedere’ significa ‘allontanarsi, ‘allontanarsi’ significa ‘tornare’”. Perciò il Tao più lontano è contemporaneamente il più vicino.
Nella Bibbia il nome più noto è quello delle quattro lettere (il tetragramma); e nella Cabala s’incontra l’affermazione secondo cui JHW”H indica il Dio rivelato, e quindi il Dio d’Israele, mentre Elohim è l’appellativo del Dio nascosto.
In filosofia il nome segreto di Dio è nascosto nella dotta ignoranza. Essa è l’estrema conoscenza razionale che giunge sul confine, che qui abbiamo chiamato Tramonto, e si volge all’inconoscibile e intuisce e immagina.
Ha detto Dionigi Areopagita: “…alla Causa di tutte le cose che è superiore a tutte le cose non si addice nessun nome e si addicono tutti i nomi delle cose che sono…”.
Ha detto Nicolò Cusano che “anche i pagani chiamavano dio con nomi diversi rispetto alle creature (che ne hanno uno solo). Lo chiamavano Giove per l’ammirevole giustizia, Saturno per la profondità dei pensieri, Marte per le vittorie in guerra, Mercurio per la prudenza delle decisioni, Venere per l’amore che conserva la natura, Sole per la forza dei movimenti naturali, Luna per la conservazione degli umori nella quale consiste la vita, Cupido per l’unione dei due sessi per la quale lo chiamavano anche Natura in quanto conserva le specie delle cose mediante i due sessi…Perciò i nomi che esplicano (Dio) possono essere molti, ma mai tanti e tanto grandi da non poter essere di più. Ciascuno di essi sta al nome appropriato e ineffabile di Dio come il finito sta all’infinito”.
Nei più perfetti mistici dell’Islam, la presenza divina è manifestata attraverso un “angelo uomo” dall’aspetto androgino. Il “compagno” e “amato” di Hafiz o di Suhrawardi non sono precisati in quanto al genere grammaticale; né il pronome né il verbo persiano indicano il genere quando si tratta di questo essere angelicato (seraph), immagine dell’uomo perfetto.
Uno dei simboli principali dell’ermetismo alchemico era Rebis (letteralmente “due cose”), l’androgino cosmico, rappresentato iconograficamente sotto la forma di una creatura umana bisessuale. Rebis nasceva dall’unione tra il sole e la luna o, in termini alchemici, tra lo “zolfo sofico” e il “mercurio sofico”. Chi poteva ottenerlo, si trovava, di fatto, in possesso della pietra filosofale, poiché essa si chiamava anche Rebis o “Androgino ermetico”.
Perché tutto questo panegirico? Per ricordare, che per ciò che sta accadendo in terra per l’uomo e la donna, ci sono stati precedenti nel mito, nella religione, nella conoscenza esoterica, in quella filosofica. E come quei personaggi che univano in un solo aspetto le due metà, così saranno gli aderenti al Patto. Sotto quest’aspetto, gli dei, gli angeli, gli eroi, sembrano previsioni, anticipazioni, o forse anche indicazioni del segreto da decifrare.
Spunta in tal modo un’altra idea su tal segreto: esso è la contemporaneità d’apparenza e nascosto, d’altezza e abisso; ciò che uomo e donna sono nel Patto e che le sue frasi hanno già rivelato in buona parte. E si continua.

 

12.

Il ventre di donna ha oggi
due aspetti, come ogni altro cosa:
quello di origine e sviluppo della vita
e l’altro di bomba demografica.
Oggi è il secondo che prevale
e si può capire perché è inconsciamente rifiutato,
perché ci sono tanti omosessuali e lesbiche.
La continuazione della specie
in modo così dirompente e dilagante
è diventata oggi una iattura, un pericolo,
e perciò c’è reazione contro la causa.
Ma un giorno ridiventerà preziosa la donna
come è già stata, anzi lo è già immensamente
per chi conosce la “coincidenza degli opposti”
e sa che il prossimo gradino di sviluppo
non è la continuazione della specie
ma quella dei due uniti in uno solo.

 

In questo mondo, tutte le cose sono a metà, come abbiamo avuto modo di dire anche nei commenti della terza e quarta frase, o sono interi con una faccia invisibile e perciò è come se essa non ci fosse, perché qui ha riconosciuta dimora solo quel che si vede e si tocca. Anche perché l’altra parte se è invisibile agli altri è pure sconosciuta a se stessi ed è presente solo nei modi della tenebra illimitata, del sonno e sogno, dell’inconscio, del desiderio, dell’aspirazione all’unità, della fede, dell’erotismo, della morte, e molto spesso della violenza sugli aspetti noti, quasi che essi rappresentino un’usurpazione e come per ristabilire un equilibrio, anzi per alcuni la giustizia.
Il primo che all’inizio della nostra civiltà ha indicato l’ingiustizia presente nel mondo duplice e molteplice è stato Anassimandro, il sapiente del sesto secolo a. C. Il suo pensiero suona così: “Là dove le cose hanno il loro sorgere, ivi è anche il loro venire meno, secondo necessità. Esse debbono infatti fare ammenda ed esser giudicate per la loro ingiustizia, secondo l’ordine del tempo”; e si sa che l’origine è L’ápeiron, cioè il non-limitato, non-finito, non-particolare. Qui ci è come dato di ascoltare il momento del distacco dall’origine degli enti e la loro diffusione e dispersione. Una specie di creazione o emanazione, perciò, del mondo numeroso e vario, perché questo frammento è anche il primo della sapienza greca che è giunto fino a noi ed è l’unico di quel grande. Poi il loro declinare come condanna a causa della loro differenziazione e il ritorno alla casa comune.
Dello stesso avviso Lao-tzu, per il quale le cose escono dal Tao − un altro nome dell’Innominabile, Indistinguibile, Impronunziabile −, attraversando “La Porta della misteriosa femmina/ [che] è la scaturigine del Cielo e della Terra”, per poi ritornare al luogo d’origine, ed esso è richiesto, perché “Il tornare è il movimento del Tao”, e in tal modo si compie la giustizia.
Il ritorno all’unità è, dunque, anche ciò che la giustizia vuole; è la bilancia che non ha più un piatto alto e uno basso, ciò che invece sempre succede nella dimensione delle cose divise a metà. Quel che accaduto per tanti secoli ad uomini e donne così scissi, con i primi in mostra e dominanti e le seconde ignorate e neglette.
Dunque perché nel mondo delle metà distinte e contrapposte una è sempre sottomessa e vittima, essa si ribella e si rivolta. Di questo genere, per esempio, è la guerra femminile contro l’oppressione maschile dei secoli scorsi, ma di tal genere anche il grembo di donna che come un ápeiron o un tao minore viene adoperato solo come macchina di riproduzione per la pura e semplice continuazione della specie: come una fabbrica nella produzione in serie di sole metà, spesso ottenuto col mero metodo fisico d’unione dei corpi, e perciò essi, specialmente ai nostri giorni, sono tanto mostrati ed esaltati. Il richiamo sessuale è quel che quasi esclusivamente si propaganda. Il risultato è la moltiplicazione incontrollata e la prevaricazione degli enti che devono invece ritornare all’unità, quella di cui stiamo qui parlando, in particolare modo la coincidenza d’uomo e donna, inizio del ritorno all’unità del tutto.
Di fronte al prevalere dell’aspetto quantitativo che moltiplica le metà, c’è la “reazione contro la causa”, contro il grembo della donna diventato oggi “bomba demografica”. In vario modo si manifestano i rifiuti e le lotte che dal tempo e luogo dove ci troviamo si possono vedere e comprendere e che sembrano difese approntate dalla natura e cultura assieme, forse per la prima volta alleate. Sono esse gli omosessuali e le lesbiche con le loro unioni infeconde, i matrimoni fra loro che in alcuni stati sono diventati legittimi. I corpi si uniscono come prima, ma sono metà dello stesso segno che si sovrappongono, come animali che s’accoppiano da dietro. Come se, guardando ad altre metà contrapposte, notte si sovrapponesse a notte e giorno a giorno, estate ad estate e inverno a inverno. Dov’è in tal caso il cerchio intero, dove sono i frutti che produce, dov’è l’uscita da quei cerchi senza porte, dov’è perciò l’avvenire, dov’è la speranza? Quindi sono certamente aspetti della palude e segnali inequivocabili della morta gora, dove stanno scivolando le viziose vite di tutti nel lettone, queste combinazioni diventate d’attualità, di moda, e argomenti di pubbliche discussioni e di dotte conferenze; ma nel loro degrado, e perché sono aspetti della trasmutazione dei precedenti patti, anche segni inequivocabili di un cambiamento in corso. Quello che il nuovo patto d’amore prospetta e persegue: non più moltiplicazione di metà ma il ritorno d’interi, lasciando per via gli innumerevoli facsimili come copie che svaniscono.
Anche la vecchiaia, la sua continuazione oltre i limiti naturali ottenuta con la medicina, è un altro aspetto della reazione contro l’incontrollata moltiplicazione delle metà distinte e contrapposte. A lasciar vivere i vecchi tanto a lungo va a danno di chi dovrebbe sostituirli occupando il loro posto. Ma per quanto è previsto finora, chi dovrebbe dare il cambio sono soltanto delle metà, ed è contro questa cieca continuazione che la cultura, sia pure nel solo modo della previsione vaga e oscura, si è posta. Perché anch’essa persegue la lunga vita e quindi a suo modo s’inserisce nel progetto.
La soluzione che si prospetta è la realizzazione dell’uno intero nella metà che appare, che perciò conserva il suo aspetto d’uomo e donna. In tal modo si troverebbero assieme essere e apparenza; contemporaneamente vogliamo dire, immutabili nella loro mutabilità, eterni nel loro divenire, immortali nel loro nascere e morire. Ciò che l’esistente è già, ci sembra, ma che finora non sa di essere. Quando queste cose accadranno, per tutti “ridiventerà preziosa la donna”, afferma il dodicesimo verso, come lo è già per chi ha raggiunto la coincidenza degli opposti.

13.

Tu sei per me il cammino nell’oscurità,
io, per te, quello nella luce.
Ma non c’è inizio del Giorno
se non arrivi dalla Notte,
non c’è l’uno senza l’altra, quindi,
o se le due parti sono distinte
non sono separabili.
Un nuovo patto perciò
diventa indispensabile,
altrimenti non saprò mai chi sono io
né tu saprai quello che ti manca.

 

Questo tema compare già nelle pagine precedenti ma ripeterlo giova: il lato oscuro che è parte integrante dell’uomo è il femminile in lui e quello deve circumnavigare per conoscersi. Così dice il primo verso della tredicesima frase, ma non è proprio al femminile nell’uomo che sembra rivolgersi, ma alla donna in carne ed ossa, come se fosse lei il cammino oscuro. Non lo è, infatti? anche fisicamente vogliamo dire. Non c’è un tale cammino nel suo grembo dove passa il piccolo dell’uomo? Ebbene, nell’altro, vale a dire in quello che ognuno ha in sé e non conosce, passa l’uomo nuovo, vale a dire il singolo e non un indistinto e instabile rappresentante della specie umana com’è normalmente e pressoché generalmente ogni nato in questo mondo. Il secondo cammino non è però indagabile come quello fisico, non è a portata di mano per toccarlo ed entrare in esso, ma in un certo modo è anche più vicino e non lo vediamo perché è dietro, come diceva Eraclito del Logos: “Poiché a ciò con cui essi sono più assiduamente in contatto, il Logos, volgono le spalle, e ciò in cui s’imbattono quotidianamente appare loro estraneo”.
Ecco dunque che non l’astratto femminile ma la donna in carne ed ossa è il cammino oscuro. Non solo esso, certamente. Lei è anche la fine del cammino, anche lo sbocco, e il volto bello e le dolci forme che si colgono nell’uscita, ed è la metà coincidente e quindi il risultato dell’unione, ma di tutto questo già si è detto e si dirà.
In un rapporto uguale ma contrario si trova la donna rispetto all’uomo: lui è il cammino nella luce e qui il riferimento è alla metà manifesta dell’intero, vale a dire la civiltà che è stata edificata prevalentemente dall’uomo cui lei ormai partecipa a pieno titolo. “Ma non c’è inizio del Giorno” se non si arriva dalla Notte e viceversa, perciò i due “si danno nascita fra loro”. Queste ultime parole sono di Lao-tzu, ed egli le ha usate non per l’uomo e la donna ma per i due opposti estremi. L’intero verso suona così: “Essere e non-essere si danno nascita fra loro”; ma la stessa cosa vale per ogni altra coppia di opposti. Per il Giorno che spunta dalla Notte, per l’uomo che nasce dalla donna, per la donna che s’illumina nell’uomo, in una dimensione per ora solo indicata, quella del Patto, o che ha solo qualche abitante.
Perciò un uomo senza donna non può esistere. “Non c’è l’uno senza l’altra”, afferma il quinto verso, anche se appare soltanto la metà, maschile o femminile. Mondo delle apparenze o illusorio è, infatti, chiamato questo mondo dai sapienti e da molti filosofi occidentali; samsâra dagli orientali.
Gli ultimi quattro versi ribadiscono la necessità del Patto, non solo per i motivi sopra esposti ma anche perché altrimenti la singola metà non saprà mai chi è. E si ritorna in tal modo a quel “conosci te stesso” dell’antica sapienza da cui è cominciato il cammino della conoscenza che ha portato fino al Patto. Coincidenza degli opposti e conosci te stesso diventano perciò la stessa cosa.

[2/5 − Continua]

Il nuovo patto d’amore

24 novembre 2010

Il nuovo patto d’amore, fondato sulla coincidenza degli opposti

Finché l’uomo non comprende due contraria,
cioè due cose contrarie congiuntamente in una,
in verità, senza alcun dubbio,
non è molto facile parlare con lui di tali cose
[cioè del molteplice che è nell’Uno,
eppure resta molteplice],
perché quando comprende ciò,
allora soltanto ha percorso la metà
del cammino della vita che io intendo.

Enrico Suso

 

Paul Gustave Doré, Paolo e Francesca (1861-1868)


Prima parte

Il Nuovo patto d’amore, come dice il titolo, è fondato sulla coincidenza degli opposti, e di tutti quelli che compongono l’immensa rappresentazione che noi uomini chiamiamo mondo, universo, solo due entrano direttamente in gioco: l’uomo e la donna. Soprattutto di loro due qui si tratta, della loro unità che fino ad oggi appare realizzata soltanto in parte, perché non c’era il legame della conoscenza che questo Patto solleva e pone ma solo quello del sentimento. Prima ancora quello più effimero e breve dei corpi che s’incontrano negli innumerevoli amplessi, che continuamente alimentano la specie umana perché non sparisca. Un movimento della natura, perciò, quello che finora si è svolto e si svolge, o prevalentemente da lei diretto, da cui però si è cercato spesso di affrancarsi. Dico dal cieco istinto, dalla necessità, dai comandi imperiosi e incomprensibili, quindi dall’essere oggetti di essa come lo sono le piante e gli animali. Finora con poco successo tuttavia, anche se non può essere considerata piccola cosa il contributo all’emancipazione dato dalla scienza e dalla tecnica.
Ma oggi ci troviamo vicini ad una svolta storica: un nuovo patto a due che integra e modifica le vecchie leggi e stabilisce un nuovo legame con un risultato che sembrava impossibile, anche se sulle ali dell’amore sensazioni e previsioni di esso già c’erano e a volte apparivano.
Dove gli opposti sono già congiunti indissolubilmente, come il giorno notte e l’estate inverno, lì già si svolge il non finito mai, e sono quelli che sono arrivati alla visione e alla comprensione dell’uomo. Si sosterrà che sono sempre stati così. Ma non per l’uomo, è la risposta, e prima era come se fossero staccati e indipendenti, come appaiono oggi vita e morte. Prima mancava la “parola” che li univa, quella che ha annunciato che sono coincidenti, e, come ha detto il poeta “nessuna cosa è dove la parola manca”.
Prima della parola che ha sancito che il ciclo giorno notte è eterno o almeno illimitato, non si sapeva se il sole sarebbe ancora sorto dopo la sua scomparsa nella notte, e se le messi sarebbero spuntate dopo l’inverno. Erano in mano agli dei questi eventi e a loro si sacrificava perché fossero benigni, perché notte e inverno non prevalessero. Dobbiamo a Gilgamesh la scoperta del cammino del sole nell’oscurità, sempre uguale e necessario, e perciò la certezza del suo ritorno giornaliero.
In una situazione simile ci troviamo noi con la coppia uomo donna, somigliante al giorno notte e inverno estate. Il circolo si forma quando li unisce amore, ma amore finora non era una certezza, non era conoscenza chiara e distinta. La sua durata, secondo la normale e quasi universale concezione dettata dall’esperienza, non era eterna. C’è ancora oggi solo il sentimento d’amore eterno, affermato a volte con vigore, ma esso spunta qua e là casualmente e inaspettatamente e nello stesso modo di solito scompare e non si sa se ritorna. Similmente, come abbiamo detto, non c’era certezza che il sole sarebbe spuntato dalle tenebre notturne: bisognava andare a vedere per saperlo.
Così è stato anche per l’unione uomo donna, che prima solo l’amore voleva indissolubile e per sempre e siamo andati a conoscere l’amore per saperlo, a vedere che cos’è. Il nuovo patto d’amore è il racconto della via che conduce a quella conoscenza ed esperienza straordinarie.

1.

La donna è la via e lo sbocco.
Non c’è altro modo per arrivare
alle dorate spiagge del sole e del logos,
l’ultimo campo base dei viventi
diretti verso l’abisso della morte.
Poi spetta all’uomo di condurre
se non si vuole che si fermi questa vita
nella precarietà e nell’indigenza dove si trova.
Ma allora su sentieri inesplorati,
misteriosi e perfino inesistenti
quando il cammino si forma camminando.

Nei primi cinque versi si dice che la vita umana, da quando inizia, è diretta verso la sua misteriosa e tenebrosa fine, e che la prima parte del cammino, fino allo sbocco nella luce del sole, avviene nel grembo materno. La prima parte perciò è la via della gravidanza. Tutto questo è ben noto da molto e si tratta di conoscenza scientifica, vale a dire esatta e valevole per tutti i casi. Il viaggio fino a tale uscita si può ormai vedere e seguire usando gli strumenti della tecnica e si può intervenire quando qualcosa non va, aiutando ma anche interrompendolo a volte quando è richiesto o necessario.
Dopo il grembo materno, il viaggio continua nella famiglia e nella società: nel logos, dice il terzo verso. Nella ragione, si dice normalmente, e si colloca l’inizio di questo terzo tratto nel settimo anno d’età d’ogni nuovo nato.
La direzione è verso l’abisso della morte, dice il quinto verso, e in questa fase il testimone passa di mano. Se fino a quel punto era la donna che aveva in cura il bambino, ora tocca all’uomo di condurre e si dice perché. Perché la vita non si fermi nella precarietà e nell’indigenza da cui ancora non è uscita, basti pensare ai bisogni, alle malattie, alla vecchiaia e soprattutto alla sua ineluttabile fine. Appare in questo dire tutta l’opera di civiltà che si è svolta in Occidente in più di venticinque secoli e che è servita, per prima cosa, contro i limiti indicati. Ecco perciò le case, i paesi, le città, dove la gente si raccoglie per stare assieme e aiutarsi e proteggersi a vicenda, per soddisfare i più elementari bisogni e necessità. Ecco i luoghi pubblici: municipi, chiese, scuole, ospedali, tribunali, monumenti, biblioteche, dove si svolgono le attività relative alla terza parte del cammino, quella che va verso la morte e spesso ci prepara ad essa, escogitando anche soluzioni per allontanarla il più possibile, come le scoperte della scienza medica, e addirittura per esorcizzarla e tentare di vincerla. Ecco le vie, i ponti, le gallerie per collegare i tanti punti di raccolta esistenti nei vasti territori che si chiamano comuni, regioni, patria, continente. Ecco i mezzi di trasporto: i carri, le carrozze, i treni, le automobili, gli aerei, che servono per abbreviare i tempi di percorrenza e a rendere i viaggi più sicuri.
Dunque, nella prima parte del viaggio, ed anche nella seconda fino all’età della ragione, era prevalente il ruolo della donna. Poi nella terza, almeno fino a poco tempo fa, subentrava soprattutto l’uomo. Era lui che si occupava della costruzione di case, strade, mezzi di trasporto, opere pubbliche; che portava avanti le vie della conoscenza e della ricerca: quelle della storia, della filosofia, dell’organizzazione sociale, della scienza. Vie esistenti da millenni, che hanno un inizio e direzioni di sviluppo ben precise, che crescono su se stesse nella luce della ragione, come le piante e gli animali nella luce del sole.
Ma non solo per esse l’uomo si è spinto e continua, ma anche per sentieri inesplorati, misteriosi e perfino inesistenti, sta scritto negli ultimi tre versi, quelli formati dalle tracce di viandanti che seguono cammini lontani da quelli battuti e anche in dimensioni mai raggiunte prima. Questo andar oltre ha dunque uno scopo: allungare il viaggio, vale a dire il tempo della vita, e in tal modo allontanare l’abisso. Non è certo una soluzione lo spostamento in avanti ma solo un procrastinare. O forse quel andare per sentieri perfino inesistenti che si formano camminando mira al cuore di quel segreto e vuole salvare dalla caduta finale. È quel che vedremo andando avanti.

2.

Il cammino nel tuo grembo conduce
fino alle dorate spiagge del sole
e alla luce della mente e qui si esce
e si rimane per un po’, per ripetere poi
a visita finita la stessa lunga strada
cominciando da primordi assai lontani:
cellule, spermatozoi, mutazioni innumerevoli.
Ma ora io conosco un nuovo giro,
uno nuovo arrivo, un’altra uscita nella luce,
e c’è questo patto da firmare: tu mi porti
fin qui come hai sempre fatto
ed io ti conduco con me dove non sai,
fino all’uscita in un’altra luce.

I primi quattro versi di questa seconda frase ripetono le cose dette prima: il lungo cammino nel grembo materno che porta fino alla luce del sole e della mente, dove si rimane per un po’, come in vacanza. Come quando dai raccolti luoghi familiari si va a trovare parenti lontani. Ma là giunti, cioè a quelle spiagge della luce o a quei luoghi che qualche volta non sembrano nuovi, dove ci sono altri che non sembrano stranieri, perché ci sorprendiamo a dire: mi pare di averlo già visto, mi pare d’averla sempre conosciuta, non c’è però la via del ritorno, uguale e contraria a quella dell’andata o anche la stessa, da percorrere in senso inverso. Si afferma soltanto, nel quarto e quinto verso, che il viaggio ricomincia ma dall’inizio primigenio − dalla cellula e dallo spermatozoo −, per giungere alla fine, dopo innumerevoli passaggi ed accrescimenti, allo stesso punto dove è avvenuta la precedente scomparsa. Un eterno ritorno, insomma, di cui però non si sa cos’è accaduto dopo la morte, quindi neppure come si è potuto riapparire e non c’è perciò certezza se lo scomparso e il riapparso sono lo stesso. Non ci sono dimostrazioni scientifiche di tal genere ma solo un sentimento, peraltro antico e diffuso, che afferma che i due non sono diversi. Perciò in questo mondo non si verrebbe una sola volta, e ci sono inoltre esempi famosi di ritorni, ma sono molto rari e c’è la convinzione che non erano uomini comuni quelli che sono rinati ricordando le loro precedenti vite, ma eroi, o figli di dei o essi stessi divini. Solo eccezioni perciò quei ritornanti, che confermerebbero la regola che l’ultima è una partenza di solo andata. Ma quelle eccezioni che si trovano nei miti, nelle religioni, nelle visioni della sapienza, nelle filosofie, nelle scienze, costituiscono il patrimonio di speranze dell’umanità, e senza di esse non saremmo giunti dove ora ci troviamo o non avremmo avuto la forza di continuare nonostante tutto. A quelle indicazioni si guarda ancora e nella loro direzione qualcuno non ha mai smesso di avanzare.
Dunque, c’è un lungo cammino noto che comincia nel grembo materno, continua nella luce del sole e si conclude davanti all’abisso della morte, dove chi giunge è costretto a fare l’ultimo passo, quello nel vuoto, perché non si torna indietro né si può sostare ad attendere. Il passo della morte, si dice. Quello che è accaduto e accade continuamente a tutti, anche a coloro che hanno affermato di essere tornati. Ma non per le vie della natura, in quei casi; né per quelle sulla terra fatte di sassi e asfalto; né per le rotte sui mari o per quelle nei cieli e nello spazio delle stelle. Vie che sono state aperte da Gilgamesh, Ulisse, Colombo e oggi dagli astronauti. Ma non si ritorna circumnavigando la Terra e neppure l’Universo, se un giorno sarà tecnicamente possibile giungere a tanto. In che modo, allora? Conservando la memoria delle precedenti vite, come similmente si ricordano i giorni passati di quella presente dopo il sonno della notte, hanno detto alcuni sapienti. Attraversando il regno della morte ad occhi aperti e mente sveglia, hanno detto eroi e semidei. Così in un passato lontano, ma che sembra ora ritornare perché, dicono i versi otto e nove, ora si conosce un nuovo giro, un nuovo arrivo, un’altra uscita nella luce. Si tratta certamente di cammini ignoti e misteriosi perché è tutto nuovo in questi versi e anche l’uscita nella luce è “un’altra”: un’altra porta, un’altra dimensione luminosa. Non una di quelle esistenti sulla terra o sui ventri delle donne, non la luce del sole o quella della ragione.
Di queste novità ne sapremo certamente di più in seguito, ma esse però hanno l’effetto immediato di introdurre il nuovo patto d’amore. Si può perciò affermare fin d’ora che esso si basa su un’importante novità: la continuazione del cammino della vita oltre i limiti raggiunti, scoperta dovuta specialmente all’uomo, ed egli ora la pone sul piatto della bilancia che è squilibrata a favore della sua compagna, per ristabilire un equilibrio e con esso la giustizia. Diversamente non ci sarebbe patto che tenga e quello esistente ha perso molto della sua validità e credibilità. È ben noto, infatti, che da alcuni decenni la donna ha invaso il campo dell’uomo ottenendo numerose vittorie e conquiste, ed ora partecipa in massa alle attività in esso ed è riuscita perfino a penetrare alcuni suoi importanti segreti. C’è forse anche di più: la parte visibile e funzionante della civiltà sarebbe oggi in grado di portarla avanti anche da sola.
Altrettanto invece non è riuscito all’uomo. Non a generare, come può la donna, anche se su questa via si è messo con le sue macchine ed esperimenti. Ecco perciò che il piatto della bilancia è sceso dalla parte femminile e l’uomo quasi spodestato è diventato più leggero, più fatuo, meno importante, spesso inutile. Solo un’inversione di tendenza consistente in un contrattacco, anzi in un aggiramento per occupare il campo della donna dopo che l’ha lasciato sguarnito per dilagare in quello maschile, potrebbe ristabilire l’equilibrio. Sarebbe proprio questa la tattica da seguire: affrontarla nella sua fortezza più segreta ed esclusiva, vale a dire nella sua capacità di dare la vita. Ma ciò è proprio quello che gli ultimi due versi dicono alla donna: tu mi porti in grembo fino alla luce del sole ed io ti conduco per la via del pensiero fino ad un’altra uscita.
Quel che si afferma in quest’inizio di un nuovo patto d’amore, dunque, è un darsi a vicenda la luce e la vita, e i ruoli sono stabiliti: fino ad un certo punto lei e dopo lui, che condurrà ad una nuova necessaria unità dei contraenti.

3.

L’abisso è la metà di te che non conosci
e precipiti in te se non la trovi.

Questa terza frase è composta da due versi soltanto. Parole di colore oscuro li formano, simili a quelle che Dante vide scritte al sommo della porta dell’Inferno. Oscure specialmente per coloro che credevano l’abisso soltanto là fuori, nell’immenso spazio del mondo, e della stessa natura di quelli che punteggiano le montagne della terra, o come i buchi neri delle galassie, o come le idee del nulla e della morte da cui la mente si ritrae, ma poi ad esse di nuovo si rivolge come incantata, in un andirivieni senza fine. Invece, dice il verso, non è fuori e lontano, ma vicino, anzi in noi stessi. Che sia interno non è però una novità ma voce antica. Quella del sapiente di oltre venticinque secoli fa che ha detto: “Conosci te stesso” e tali parole sono state incise sul frontone dell’Oracolo di Delfi. Ed è evidente che siamo ignoti a noi stessi se fin da quel lontano passato è sorta la necessità fondamentale di conoscerci ed essa non è stata ancora soddisfatta se continuiamo a cercare. Così, infatti, afferma il verso, e non è poca l’ignoranza ma abissale.
Se l’abisso è in noi e si trova nella metà sconosciuta o è tale parte, abbiamo idea di dove cercare e che cosa? Dopo più di venticinque secoli d’introspezione, si può dire che qualcosa abbiamo appreso. Si trova certamente dove c’è buio e mistero. Perciò dove gli occhi sono chiusi e la mente è spenta. “La metà nascosta” abbiamo chiamato quel luogo in altre occasioni, ed esso ha tanti nomi. Ne proferiamo alcuni: notte, sonno, sogno, inconscio, morte, e sono gli opposti di giorno, veglia, conscio, vita. Per scoprirlo dobbiamo perciò volgerci da quella parte prima di essere costretti a farlo, ma allora sarebbe troppo tardi perché si precipita. D’altronde, qualcosa è già stato ottenuto. Il sonno è oggetto di ricerca anche con gli strumenti della scienza e della tecnica, i sogni sono diventati finestre dell’inconscio, parti di questo sconfinato oceano tenebroso vengono sollevate nella luce della coscienza e si mira a bonificarlo, almeno la parte più vicina, come si fa con le paludi presso il mare. E la morte? “Dall’incombere solo, della morte/ con nessuna fuga può giammai (l’uomo) difendersi, / pur se ad un male tenace gli sia riuscito/ abilmente di sfuggire”, ha detto Sofocle nell’Antigone. Ma è proprio l’attacco ad essa che qui viene condotto con tutti i mezzi e risorse, se non si vuole continuare a precipitare nel più profondo di noi stessi da cui non si riesce più a risalire, e l’operazione in corso ha un titolo: nuovo patto d’amore fondato sulla coincidenza degli opposti.

 

Ari Scheffer, Paolo e Francesca (1835)

4.

Io ho raggiunto il Femminile che è in me
e sono una sola cosa con lei.
Tu devi arrivare al Maschile che è in te
e diventare una sola cosa con lui.
Solo così il giro intero si compie e c’è l’uscita.
Io conosco il cammino che porta all’unità.

L’attacco al lato oscuro e misterioso sembra cominci già in questa quarta frase. Si afferma che la metà nascosta dove c’è l’abisso, oltre ai nomi dati in precedenza si chiama anche donna per l’uomo e viceversa. Che la donna sia solo abisso, o tenebra, o mistero, nessuno che sia sano di mente e che usa la ragione lo può affermare, perché già dal primo verso risulta che la sua natura non è essenzialmente diversa da quella di chi cerca, perché alla fine il cercatore raggiunge ciò che egli stesso è sempre stato ma che non sapeva d’essere, vale a dire il femminile che lo costituisce, per diventare una sola cosa con lei. Anche prima lo era ma senza saperlo, e quell’ignoranza si chiama anche sonno, inconscio, morte; perciò il femminile nell’uomo non era separato da quella compagnia e dalle conseguenze anche negative e nefaste che essa produceva, perfino dai mostri che spuntavano da quelle tenebre. Quello era davvero l’abisso: quel non sapere, quel precipitare nel sonno e in profondità più grandi − l’inconscio −, e perfino nella morte, la senza fondo.
Si dice anche quando l’unità del maschile e femminile avviene e come: quando il giro intero ha compimento, o quando le due metà diventano un intero, simile ad un cerchio, ad una sfera. Come nel mito dell’androgeno primordiale raccontato da Platone nel Simposio. Come nel Tao dove uomo e donna uniti formano un cerchio a due colori d’uguale superficie, stranamente intrecciato, e la donna è la parte oscura. Come Adamo nel Paradiso terrestre prima che Eva fosse estratta da lui durante un profondo sonno. Come il Rebis (letteralmente “due cose”), l’androgino cosmico dell’ermetismo alchemico, rappresentato iconograficamente sotto la forma di una creatura umana bisessuale. Come Séraphîta di Balzac, l’androgino perfetto nato da genitori che erano stati discepoli di Swedenborg. L’intero che così viene raggiunto, Jung l’ha chiamato personalità integrale o Sé, unità di conscio e inconscio, in altre parole di maschile e femminile, che è la stessa cosa detta con altre parole, perché ciò a cui si arriva è sempre la coincidenza degli opposti e le metà visibili da cui si può attingere sono innumerevoli. Sono il giorno staccato dalla notte, una faccia della moneta opposta all’altra faccia, il lato visibile della luna e quello invisibile, la cima e l’abisso, le chiome dell’albero e le radici e più esse affondano nella terra più le altre si sviluppano nella luce, l’esterno e l’interno, la strada che sale e quella che scende, il pieno e il vuoto, il polo nord e il polo sud, la materia e l’antimateria, le stelle e i buchi neri, la natura ondulatoria della luce e quella corpuscolare, nella stessa donna il suo volto celestiale e l’abisso tenebroso dell’origine della vita che porta in sé. Queste le coppie, solo alcune, e non c’è modo, io credo, di esaurire l’elenco, perché di metà distinte e contrapposte è fatto l’universo e funziona perché si alternano le parti ed è inesauribile il mutare.
Ma perché l’unità si compia in modo perfetto, anche la donna − dice il terzo verso −, deve arrivare a scoprire il suo lato oscuro, in altre parole il maschile che è in lei. Quindi lei che occupa il cielo della notte deve invece volgersi e dirigersi verso quello diurno, abitato prevalentemente dell’uomo, e penetrarlo e conquistarlo, o almeno acquistare in esso pari dignità e diritti. Cosa che ha già cominciato a fare e in cui, specialmente da alcuni decenni, sta procedendo alacremente, infaticabilmente, a macchia d’olio. Non c’è occupazione maschile che non sia oggi alla portata della donna e oggetto dei suoi desideri, non c’è campo d’indagine cui non abbia accesso e in molti casi è lei che conduce. La sua volontà è più grande, più forte l’impegno.
Dobbiamo perciò notare che quanto stiamo dicendo su quest’invasione del campo maschile da parte della donna, non ha il carattere di previsione o indicazione ma è quello che sta già avvenendo. Non quel che dovrebbe accadere perché il nuovo patto d’amore non rimanga lettera morta, una pia intenzione o un’opera di fantasia, ma in questo caso e in questo settore i fatti hanno anticipato le previsioni ormai da molto. Non c’è da stupirsi, tuttavia, perché un nuovo patto si può fare soltanto quando sorgono delle esigenze nuove, quando i viventi, uomini e donne, rompono con gli antichi schemi e limiti: abitudini, leggi, condizioni di vita, per procedere oltre, per saperne di più. E quale epoca è stata più inquietante della nostra in quest’aspetto! Da più di cent’anni è cominciato il nichilismo che ha portato dapprima alla svalutazione di tutti i valori e poi al loro capovolgimento, e ai nostri giorni esso è diventato condizione normale. Come quando nel gioco delle carte si azzerano i precedenti risultati − chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato −, e si comincia da capo.
Allora sotto certi aspetti la donna, la più soggetta a quelle restrizioni, ha anticipato la corsa ai mutamenti e sconvolgimenti che stanno alla base del nuovo patto d’amore ed è il futuro contraente che si sta muovendo a maggiore velocità e ha già occupato a quasi tutto lo spazio maschile. Superando perciò l’uomo che a sua volta ha sconfinato nel femminile ma per ora di poco e solo con qualche avanguardia.
Dunque, se si guarda nel campo di battaglia o nell’arena degli scontri i risultati che lei ha ottenuto nella metà maschile sono incomparabilmente maggiori di quelli che il suo compagno ha ricavato nella sua, ma ciò in generale, come movimento di massa, e c’è anche una spiegazione razionale per la loro offensiva riuscita. Sono state e sono per tanti aspetti come orde barbariche nel mondo illuminato dalla ragione e ordinato e trasformato da essa e si tratta, molto spesso, di estromettere l’attuale occupante che ha finito il suo compito e si è corrotto, e di sostituirsi a lui. Ma ciò che vale per la stragrande maggioranza degli uomini d’oggi non è applicabile a tutti. Certamente non ai primi che hanno suonato le trombe del mutamento, vale a dire a Nietzsche, Freud, Jung. Né a quelli che hanno affrontato la tenebra e si sono spinti molto avanti in essa, a Nietzsche, Heidegger, Jünger, pochi altri. Ancor meno a chi ora sta stendendo questo patto.
Ma perché gli uomini nella quasi generalità non hanno ottenuto nella metà femminile i risultati che le donne hanno realizzato in quella maschile? Ecco una bella domanda cui non è difficile rispondere e lo faremo presto, e la risposta può diventare per loro un’indicazione a muoversi nella direzione indicata, se non si vuole arrivare nell’ignavia e nell’inerzia ad un nuovo sterile matriarcato. Perché ormai è chiaro: una parte che domina sull’altra è e sarà soltanto un cambio della guardia di un’umanità votata alla decadenza, forse allo sterminio.
Nell’ultimo verso è esposto chiaramente ciò che ha ottenuto l’avanguardia maschile e specialmente chi è riuscito ad arrivare alla meta: la conoscenza del cammino oscuro che come un ponte supera l’abisso dell’ignoranza di sé, e unisce il femminile al maschile in un’unione che appare stabilita per sempre. Un’unità diversa da quella di prima, perché non ci sarebbe stato bisogno altrimenti di affrontare l’abisso nella dimensione della mente e arrischiare anzitempo la caduta nel vuoto tenebroso. Prima l’unità era ottenuta con i metodi finora in uso: l’attrazione esercitata dai corpi e dai volti e l’innamoramento, modi certamente importanti ma brevi ed effimeri nonostante i sentimenti di durata eterna che spuntavano come germogli prematuri nella vita dei due che s’univano, e che saranno usati chissà quanto ancora, e che anzi non finiranno mai in questa dimensione dove albergano le metà distinte e contrapposte. Ma ad essi ora s’aggiunge questa nuova rivelazione: l’unione può diventare davvero senza fine perché l’ultimo verso: “Io conosco il cammino che porta all’unità”, si presenta come una continuazione di quel andare per sentieri inesplorati e perfino inesistenti/ quando il cammino si forma camminando, che si trova alla fine della terza frase. Qui si sa e si dice che il cammino è continuato fino al raggiungimento della meta, che è la coincidenza degli opposti. Il metodo adottato non è detto, ma andando avanti si saprà di più, perché stiamo descrivendo tutto quel tracciato che si fermerà soltanto alla fine, dove si congiunge con l’inizio.

5.

Che uomini e donne
non siano essenzialmente diversi
lo si vede fin dalla nascita:
hanno un’origine comune,
si sviluppano nello stesso ventre,
escono dalla stessa porta.

In questa quinta frase si riafferma la sostanziale uguaglianza d’uomo e donna. L’uomo è un intero costituito da una metà manifesta e una nascosta e misteriosa, che lui stesso non conosce, e ciò che appare è, appunto, il suo aspetto maschile. Per la donna è la stessa cosa, ma al contrario. Sono come la luna, l’uomo e la donna, mostrano solo una faccia, ma quando ognuno potrà girare attorno a se stesso fimo a raggiungersi non si vedrà più attraverso uno specchio, nell’oscurità, ma faccia a faccia. Non si conoscerà solo per enigmi, ma nello svelamento.
La natura comune dei due è arguibile anche dalla loro origine, da come e dove si sono sviluppati e sono usciti. La stessa matrice ha prodotto entrambi e soltanto piccole variazioni nel progetto costitutivo hanno sviluppato le differenze che poi appaiono nella luce, quelle che sono chiamate caratteri sessuali primari e secondari, delizia e croce delle nostre vite limitate e spezzate quando si congiungono nell’amore o rimangono incomplete e sole lungo i deserti della terra e sulla sponda dell’abisso.
Comunque che uomo e donna siano entrambi un intero ma con una metà sconosciuta, e che per arrivare alla completa consapevolezza devono scoprirla, non è la prima volta che viene detto e abbiamo portato degli esempi: Il Tao, Adamo che non sapeva di avere in sé Eva e l’ha vista dopo che gli è stata tolta, ed altri. Nuovo è però il metodo qui seguito per raggiungere tale conoscenza. Si tratta di girare attorno a se stessi, una vera e propria circumnavigazione della propria metà ignota che si può fare ponendosi fuori di se stessi e andando a guardare. D’altronde si fa già così in ogni altra ricerca: il fisico, il corporeo, è sempre indagato dall’esterno, precisamente dalla mente. Indagato anche per guarirlo, correggerlo, trasformarlo, come sta facendo la scienza medica, per esempio, col corpo umano, o l’agricoltore con i prodotti dei suoi campi. Nell’indagine che nel nuovo patto d’amore si sta seguendo, l’oggetto che è da conoscere non è solo il visibile ma anche il nascosto, non solo la veglia ma anche il sonno, non solo il conscio ma anche l’inconscio, non solo la vita ma anche la morte, e in particolare in questo patto non solo l’uomo ma anche la donna nell’uomo. Ma chi si avventura nell’altra parte senza avere gli strumenti necessari all’impresa, è come se volesse circumnavigare un’isola o un continente nell’oscurità senza bussola e stelle in cielo.

6.

Ogni uomo non sa che ha un volto oscuro,
rivolto al nulla è il volto non apparente.

Al volto oscuro dell’uomo − che nella filosofia, e soprattutto in quel suo ramo che si chiama psicanalisi che lo ha particolarmente in osservazione e cura ha nome inconscio −, corrisponde nella dimensione religiosa il nome segreto di Dio. C’è tutta una tradizione che parla di noto e ignoto, esistente contemporaneamente in tutto ciò che appare e si sente in questa dimensione di cose a metà innumerevoli volte riprodotte e moltiplicate, e l’ignoto solo qualche volta s’è rivelato e in momenti particolari.
Se l’uomo è la metà che si chiama così e l’altro lato segreto non lo portava alla parola, era come se non ci fosse. “Nessuna cosa è dove la parola manca” ha scritto il poeta e queste parole le abbiamo già riportate all’inizio del Patto. O presagendo e vaticinando, l’altra metà nascosta e misteriosa, − come la faccia della luna rivolta agli spazi siderali −, era chiamata io segreto, demone, lato oscuro, enigma, cosa che oggi è venuta un po’ allo scoperto. Era un volto non apparente e perciò i nomi poteva averli tutti e nessuno, ed era con quest’ultimo che l’attore poteva interpretare tutte le parti traducendolo di volta in volta in quello più adatto, ed era questa la sua bravura.
Invece, finché si era rivolti pressoché completamente da una parte sola − ciò che è avvenuto nel lungo giorno della ragione e fino al suo tramonto −, almeno nella vita pubblica era nell’uso e nelle possibilità degli addetti ai lavori di rimanere se stessi, non cambiare idea, non mutare faccia, non essere come bandiere al vento: cosa che oggi non succede quasi più. Il motivo è noto: perché c’è stato e continua il movimento di rivoluzione che s’inoltra nella Notte, e per mantenere le antiche usanze, per non perdere la faccia, i rappresentanti della cosa pubblica si trasformano in attori, fingono d’essere ancora quello che non sono più. Per dirlo con altre parole, si trovano spiazzati, fuori luogo, perché solo gli scenari sono quelli del Giorno, ma loro invece sono abitanti della Notte. Ecco il perché di tutte le contraddizioni del nostro tempo e soprattutto dell’immensa ipocrisia che domina la vita pubblica, e che come un fiume in piena che ha rotto gli argini sta dilagando sempre più. Ma i suoi rappresentanti non sono tutti bravi a recitare, o non l’intero pubblico che assiste ai loro spettacoli si lascia abbindolare, e perciò sono anche disprezzati e irrisi. Spesso loro stessi non sanno più chi sono e allora si atteggiano a questo e quello, stanno artificialmente di qua e di là, e non sapendo a quale ideale aggrapparsi perché non ce ne sono più, ripiegano sulle uniche certezze che sono loro rimaste: il potere e il denaro.
Dunque c’è un volto oscuro che per millenni, pur non occupando il posto di primo attore, ha fatto però sentire la sua presenza. Come enigma insolubile, abbiamo detto; cioè inconscio, sonno, morte. Come istinto. Come odio e amore. Ed ora che ha acquistato il nome donna, e che il mistero perciò, almeno in questo suo aspetto, s’è svelato?
Ora è tutta un’altra cosa, ora c’è questo patto da firmare.
Però in questa sesta frase di soli due versi c’è la parola “nulla” e verso di esso era rivolto il “volto non apparente”.  Ma ora che ha quel nome nuovo, non dovrebbe più dominare, come d’altronde non c’inghiotte più l’abisso perché, come si è già detto e come apparirà meglio soprattutto nella frase trentunesima, c’è un Ponte che s’interpone su cui si può passare. Con il nome donna che la metà nascosta ha ricevuto, costringiamo un po’ il nulla a farsi avanti e presentarsi, e mi pare che diventi nome di Dio, dove si specchia prevalentemente il femminile.
Un nome segreto di Dio è, infatti, Madre, così si dice in molte religioni o forse in tutte.

7.

Il nuovo patto d’amore
non avrà più come scopo principale
l’unione che dura una vita
e la continuazione della specie,
sia pure nei modi della famiglia e della stirpe,
ma l’eternità dell’amore
e il “ritorno dello stesso”,
cioè dell’unità che è stata raggiunta
in modo consapevole
con la “coincidenza degli opposti”
.

Questa frase è un breve compendio del nuovo patto d’amore perciò il suo commento dovrebbe, in certo qual modo, essere il Patto intero. E tutto il resto, allora, quello che abbiamo scritto e che scriveremo, dal momento che ci sono ancora parecchie frasi che aspettano di essere svolte come abbiamo fatto finora? Il resto è complemento, interpretazione, commento: ecco cosa si può dire, variazioni di cui non si può fare a meno, così come sono tante e diverse le metà con le quali si può sottoscrivere il patto, e tanti e diversi i giochi d’amore e quant’altro il patto sancisce. Allora non c’è un solo contraente per ogni coppia, si dirà, come invece sembra che sia quando si fa appello all’anima gemella, e forse le cose stanno proprio così. Tuttavia, lungi da noi l’idea di voler sfatare il mito dell’unica metà dispersa negli innumerevoli labirinti dello spazio e del tempo che potrebbe esserci, che forse c’è, se è vero, e ci piace crederlo, che all’inizio le due metà che ora vanno circolando in gran numero di copie, prodotte soprattutto da amori ingannevoli e mercenari, erano solo le originali. Quel che c’è di sicuro però è il femminile, ed esso può essere vestito e adornato in vari modi: occhi neri o azzurri, capelli biondi o scuri, varie misure di seni, diverse rotondità di fianchi. Il contraente è il femminile, l’altro è il maschile: ecco per chi è predisposto questo patto. Vediamolo un po’, dunque, in questo piccolo compendio rappresentato dalla frase in oggetto.
Nei primi quattro versi si riprendono i motivi fondamentali del patto tuttora in vigore − la formazione della coppia, che dovrebbe durare una vita ed essere indissolubile, e la continuazione della specie −, ma per considerarli ormai inadeguati alla situazione che s’è venuta a creare ai nostri giorni e che sempre più prende piede e si sviluppa. Insufficiente l’unità dei due finché morte non li separa, che contraddice il sentimento d’amore eterno contenuto nell’innamoramento. Insufficienti le intuizioni antiche e nuove che dicono che l’amore è il regno dell’uno per l’altro e che nella sua meta la mia metà riunisco; meravigliose ma non sostenute da un metodo per arrivare a questi risultati per sempre. Insufficiente la continuazione nei figli, che soddisfa solo in piccola parte la voglia d’immortalità presente in ogni vivente che conosce l’angoscia del vivere per la morte, che offusca ogni gioia. Perciò ecco le varianti al patto: “l’eternità dell’amore” e il “ritorno dello stesso”, che sono lo svelamento degli antichi sentimenti − della loro essenza −, e le indicazioni per la loro realizzazione nella coppia e nella civiltà dove essa si forma, nel nostro caso in quella occidentale. A sua volta anche l’Occidente subisce l’influenza di questo mutamento della coppia e in modo decisivo perché, come si sa, l’unione uomo donna e quel che segue è il fondamento della società e d’ogni altro sviluppo. Comunque, come per il nuovo patto d’amore che non richiede l’annullamento di quello esistente, anche per la civiltà occidentale si tratta soltanto di completare e perfezionare la carta costituzione in vigore, perché essa è già fondata sul singolo, sulla persona, privilegia la sua libertà, difende i suoi diritti, protegge il suo sviluppo e c’è la completa libertà di parlare e di proporre.
Negli ultimi tre versi viene indicato il metodo da seguire per il raggiungimento dell’unità che ha in sé l’eternità dell’amore e il ritorno dello stesso: esso è quello che porta “alla coincidenza degli opposti”. Un viaggio “di retro al sole” da compiere ad occhi aperti e mente sveglia, mentre finora, ad eccezione dei pochi casi cui si è fatto cenno in precedenza, la parte misteriosa e tenebrosa è stata superata come dentro a dei recipienti privi di porte e finestre.
Tale viaggio nel suo aspetto carnale inizia con l’atto sessuale e si svolge nel corpo femminile nel modo che si sa.

[1/5 − Continua]